In un nuovo rapporto diffuso ieri, Amnesty International ha accusato il governo dell’Uzbekistan di sorvegliare illegalmente i suoi cittadini e di alimentare un clima di paura e incertezza tra gli uzbechi che si trovano in Europa.
Le autorità del paese centro-asiatico hanno dato vita a un clima di sospetto in cui la sorveglianza o la percezione di essere sorvegliati sono un aspetto costante della vita dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti e degli attivisti politici.
L’effetto della sorveglianza si avverte fortemente anche all’estero. La paura provoca separazione tra le famiglie: i rifugiati hanno il terrore di contattare i loro parenti in patria a causa del terribile pericolo in cui potrebbero metterli.
Dilshod (non è il suo vero nome), un rifugiato che vive in Svezia, non è più in contatto coi suoi familiari da quando, a seguito di una breve telefonata, questi hanno ricevuto visite da parte della polizia. Una zia di Dilshod, quasi in punto di morte, è stata persino interrogata dai servizi segreti.
Alla fine del 2014 l’account di posta elettronica di Galima Bukharbaeva, responsabile del portale indipendente UzNews.net con sede a Berlino, è stato hackerato e i contenuti delle sue mail sono stati pubblicati su siti uzbechi mettendo in pericolo i colleghi che le fornivano informazioni dal paese.
Una di loro, Gulasal Kamolova, è stata costretta a lasciare l’Uzbekistan nel 2015, dopo aver ricevuto una serie di minacce. Prima della fuga, un funzionario dei servizi segreti l’aveva avvisata: “Ovunque sarai, ti troveremo. Ovunque…”. Da allora vive in Francia e non ha mai più contattato la famiglia.
Alla fine, il sito UzNews.net è stato costretto alla chiusura.
Un difensore dei diritti umani, Dmitry Tikhonov, ha dovuto a sua volta lasciare l’Uzbekistan dopo che i suoi dati personali, hackerati e resi pubblici, erano stati usati per minacciarlo di aprire un’inchiesta penale nei suoi confronti.
Il sistema normativo creato dal governo uzbeco in materia di sorveglianza serve solo a facilitarne l’uso massiccio, in contrasto con gli standard e le norme internazionali. Il governo può avere accesso diretto ai dati delle telecomunicazioni e non ha bisogno di autorizzazioni per applicare tutta una serie di metodi di sorveglianza. Dunque, ogni telefonata, ogni mail e ogni messaggio di testo può non restare privato. Ne derivano restrizioni sulla vita e sulla libertà delle persone che sono insopportabili e inaccettabili.
In Uzbekistan, la sorveglianza aggrava una situazione già difficile per i difensori dei diritti umani, i giornalisti, gli attivisti politici e ulteriori persone. Negli ultimi anni, Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti umani tra cui detenzioni arbitrarie e diffuse torture ad opera di agenti di polizia e di funzionari dei servizi segreti.
Difensori dei diritti umani, persone che avevano espresso critiche nei confronti del governo e giornalisti indipendenti sono stati costretti a lasciare il paese per evitare gli arresti, le minacce e le intimidazioni da parte dei servizi segreti e delle autorità locali.
I pochi che rimangono nei paese sono costantemente sorvegliati da agenti in borghese. I difensori dei diritti umani e i giornalisti vengono regolarmente convocati per interrogatori nelle stazioni locali di polizia, posti agli arresti domiciliari o impediti in altro modo dal prendere parte a incontri con diplomatici stranieri o a manifestazioni pacifiche. Vengono spesso arrestati e picchiati, da agenti in divisa o da persone in borghese sospettate di lavorare per i servizi segreti.
L’effetto della sorveglianza si avverte fortemente anche all’estero. La paura provoca separazione tra le famiglie: i rifugiati hanno il terrore di contattare i loro parenti in patria a causa del terribile pericolo in cui potrebbero metterli.
Dilshod (non è il suo vero nome), un rifugiato che vive in Svezia, non è più in contatto coi suoi familiari da quando, a seguito di una breve telefonata, questi hanno ricevuto visite da parte della polizia. Una zia di Dilshod, quasi in punto di morte, è stata persino interrogata dai servizi segreti.
Alla fine del 2014 l’account di posta elettronica di Galima Bukharbaeva, responsabile del portale indipendente UzNews.net con sede a Berlino, è stato hackerato e i contenuti delle sue mail sono stati pubblicati su siti uzbechi mettendo in pericolo i colleghi che le fornivano informazioni dal paese.
Una di loro, Gulasal Kamolova, è stata costretta a lasciare l’Uzbekistan nel 2015, dopo aver ricevuto una serie di minacce. Prima della fuga, un funzionario dei servizi segreti l’aveva avvisata: “Ovunque sarai, ti troveremo. Ovunque…”. Da allora vive in Francia e non ha mai più contattato la famiglia.
Alla fine, il sito UzNews.net è stato costretto alla chiusura.
Un difensore dei diritti umani, Dmitry Tikhonov, ha dovuto a sua volta lasciare l’Uzbekistan dopo che i suoi dati personali, hackerati e resi pubblici, erano stati usati per minacciarlo di aprire un’inchiesta penale nei suoi confronti.
Il sistema normativo creato dal governo uzbeco in materia di sorveglianza serve solo a facilitarne l’uso massiccio, in contrasto con gli standard e le norme internazionali. Il governo può avere accesso diretto ai dati delle telecomunicazioni e non ha bisogno di autorizzazioni per applicare tutta una serie di metodi di sorveglianza. Dunque, ogni telefonata, ogni mail e ogni messaggio di testo può non restare privato. Ne derivano restrizioni sulla vita e sulla libertà delle persone che sono insopportabili e inaccettabili.
In Uzbekistan, la sorveglianza aggrava una situazione già difficile per i difensori dei diritti umani, i giornalisti, gli attivisti politici e ulteriori persone. Negli ultimi anni, Amnesty International ha documentato gravi violazioni dei diritti umani tra cui detenzioni arbitrarie e diffuse torture ad opera di agenti di polizia e di funzionari dei servizi segreti.
Difensori dei diritti umani, persone che avevano espresso critiche nei confronti del governo e giornalisti indipendenti sono stati costretti a lasciare il paese per evitare gli arresti, le minacce e le intimidazioni da parte dei servizi segreti e delle autorità locali.
I pochi che rimangono nei paese sono costantemente sorvegliati da agenti in borghese. I difensori dei diritti umani e i giornalisti vengono regolarmente convocati per interrogatori nelle stazioni locali di polizia, posti agli arresti domiciliari o impediti in altro modo dal prendere parte a incontri con diplomatici stranieri o a manifestazioni pacifiche. Vengono spesso arrestati e picchiati, da agenti in divisa o da persone in borghese sospettate di lavorare per i servizi segreti.
Riccardo Noury
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