Amnesty International lancia una nuova campagna globale, si tratta di “Brave”, un’iniziativa globale per sollecitare misure di protezione nei confronti di tutti coloro che difendono i diritti umani.
Sotto la lente d’ingrandimento di Amnesty c’è principalmente l’Europa, mai come negli ultimi tempi si è assistito ad una restrizione di spazi della società civile. In particolar modo, così come si è discusso questa settimana in sede Ue, ci sono due paesi indiziati per le loro misure repressive: Polonia ed Ungheria.
«Campagne di attacco e diffamazione contro gli attivisti per i diritti umani stanno avvenendo in tutto il mondo, e l’Europa non fa eccezione. L’UE ei suoi paesi membri devono intervenire per fermare questa situazione – sia in patria che all’estero», ha dichiarato Iverna McGowan, direttore dell’Ufficio delle istituzioni europee di Amnesty International.
Nel mirino ci sono avvocati, attivisti e sempre di più giornalisti. Il lavoro di denuncia e documentazione viene colpito duramente attraverso diverse modalità. Si va dalle campagne di discredito fino all’incarcerazione, inoltre si introducono legislazioni fortemente restrittive che minano le libertà civili.
In Polonia Amnesty ha documentato negli ultimi anni diversi casi di violazioni dei diritti umani, in misura tale che si chiede al Consiglio degli affari generali di ripristinare lo stato di diritto (rule of law) notevolmente compromesso. A questo proposito si possono citare gli emendamenti alla legge sul Tribunale costituzionale, il Police act o la legge sui media che mina l’indipendenza dell’informazione e accentua il controllo governativo su di essa.
In questo senso la Polonia deve tornare in linea con i principi fondamentali della legislazione Ue arrivando anche all’applicazione dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea (Tue) che comprende la possibilità di sanzioni oppure la sospensione del diritto di voto per la Polonia all’interno dello stesso Consiglio Ue.
A preoccupare molto è quello che si sta verificando in Ungheria, il 30 maggio il parlamento di Budapest è chiamato a votare un provvedimento di legge sulla trasparenza delle organizzazioni finanziate dall’estero. Se andasse in vigore, il pericolo per la stessa esistenza delle organizzazioni non governative sarebbe grande.
La legge infatti le obbligherebbe a ricevere non più di 24000 euro di finanziamenti provenienti dall’estero. Cosa che dovrebbe essere poi dichiarata in qualsiasi pubblicazione. Quello che si vuole adombrare è il sospetto che queste organizzazioni rispondano ad interessi stranieri, un modo per etichettarle e screditarle oltre a limitarne l’operatività.
La misura ungherese risponde al clima che si respira in Ungheria dove il partito nazionalista che è al governo sta mettendo in campo diverse misure che ledono i diritti umani, non ultima la costruzione del muro che separa l’Ungheria dalla Serbia.
Una situazione che ricorda ciò che è successo a Mosca nel 2012 quando è stata introdotta una norma di legge denominata “agenti stranieri”, gli effetti di ciò sono ben visibili attualmente nella Russia di Vladimir Putin. Sono stati gli stessi attivisti russi in visita a Bruxelles ad illustrare cosa sta succedendo alla società civile del loro paese..
«Nonostante la persecuzione, i tentativi di fermarci nel fare il nostro lavoro, e anche di farci emigrare dal nostro paese, non ci consideriamo vittime. Siamo attori per il cambiamento e la nostra motivazione principale è il rispetto dei diritti umani delle persone», ha detto Valentina Cherevatenko, fondatrice e presidente delle Donne dell’Unione Don.
Alessandro Fioroni
«Campagne di attacco e diffamazione contro gli attivisti per i diritti umani stanno avvenendo in tutto il mondo, e l’Europa non fa eccezione. L’UE ei suoi paesi membri devono intervenire per fermare questa situazione – sia in patria che all’estero», ha dichiarato Iverna McGowan, direttore dell’Ufficio delle istituzioni europee di Amnesty International.
Nel mirino ci sono avvocati, attivisti e sempre di più giornalisti. Il lavoro di denuncia e documentazione viene colpito duramente attraverso diverse modalità. Si va dalle campagne di discredito fino all’incarcerazione, inoltre si introducono legislazioni fortemente restrittive che minano le libertà civili.
In Polonia Amnesty ha documentato negli ultimi anni diversi casi di violazioni dei diritti umani, in misura tale che si chiede al Consiglio degli affari generali di ripristinare lo stato di diritto (rule of law) notevolmente compromesso. A questo proposito si possono citare gli emendamenti alla legge sul Tribunale costituzionale, il Police act o la legge sui media che mina l’indipendenza dell’informazione e accentua il controllo governativo su di essa.
In questo senso la Polonia deve tornare in linea con i principi fondamentali della legislazione Ue arrivando anche all’applicazione dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea (Tue) che comprende la possibilità di sanzioni oppure la sospensione del diritto di voto per la Polonia all’interno dello stesso Consiglio Ue.
A preoccupare molto è quello che si sta verificando in Ungheria, il 30 maggio il parlamento di Budapest è chiamato a votare un provvedimento di legge sulla trasparenza delle organizzazioni finanziate dall’estero. Se andasse in vigore, il pericolo per la stessa esistenza delle organizzazioni non governative sarebbe grande.
La legge infatti le obbligherebbe a ricevere non più di 24000 euro di finanziamenti provenienti dall’estero. Cosa che dovrebbe essere poi dichiarata in qualsiasi pubblicazione. Quello che si vuole adombrare è il sospetto che queste organizzazioni rispondano ad interessi stranieri, un modo per etichettarle e screditarle oltre a limitarne l’operatività.
La misura ungherese risponde al clima che si respira in Ungheria dove il partito nazionalista che è al governo sta mettendo in campo diverse misure che ledono i diritti umani, non ultima la costruzione del muro che separa l’Ungheria dalla Serbia.
Una situazione che ricorda ciò che è successo a Mosca nel 2012 quando è stata introdotta una norma di legge denominata “agenti stranieri”, gli effetti di ciò sono ben visibili attualmente nella Russia di Vladimir Putin. Sono stati gli stessi attivisti russi in visita a Bruxelles ad illustrare cosa sta succedendo alla società civile del loro paese..
«Nonostante la persecuzione, i tentativi di fermarci nel fare il nostro lavoro, e anche di farci emigrare dal nostro paese, non ci consideriamo vittime. Siamo attori per il cambiamento e la nostra motivazione principale è il rispetto dei diritti umani delle persone», ha detto Valentina Cherevatenko, fondatrice e presidente delle Donne dell’Unione Don.
Alessandro Fioroni
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