Pagine

giovedì 18 maggio 2017

ONU incubo carestia per 20 milioni di persone in Somalia, Yemen, Sud Sudan e Nigeria

La Stampa
Nuovo appello dell’Onu: per evitare la catastrofe servono più fondi. E i conflitti in zone di crisi complicano soccorsi
La siccità fa fuggire migliaia di somali. In questa immagine,
un gruppo di sfollati in un campo vicino a Mogadiscio
Stretta nella morsa di un’atroce siccità, la Somalia si avvicina rapidamente alla catastrofe. Con sempre meno acqua pulita a disposizione, il paese, oltre al rischio di carestia, deve affrontare un aumento esponenziale di casi di colera. 

Almeno 300 nuovi contagi al giorno, con decine di vittime, la cui assistenza è ostacolata dalle condizioni di sicurezza che impediscono di raggiungere molte delle aree colpite dalla malattia. Dall’inizio dell’anno, su circa 25.000 infezioni, ci sono stati 450 decessi, molti dei quali avvenuti nel sud del paese, in zone controllate dal gruppo terrorista al-Shabab e quasi inaccessibili agli operatori umanitari. 

Anche nel 2011, la carestia, innescata dalla siccità, provocò un’impennata di infezioni di colera.
Tra fame e malattie, morirono più di 250.000 persone. Quella in corso, tuttavia, rischia di essere una crisi peggiore, visto che la siccità si è dimostrata finora più estesa e persistente. Se le autorità non hanno ancora dichiarato l’inizio della carestia, i dati più recenti dicono che 6 milioni di persone - metà della popolazione somala - hanno bisogno di assistenza umanitaria, con 185mila bambini gravemente malnutriti e in pericolo di vita.

A complicare l’emergenza somala c’é la necessità di portare aiuti urgenti anche ad altri paesi. Secondo l’ultimo appello dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il rischio di morti di massa per fame tra le popolazioni di Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen è in rapida crescita.

In pericolo ci sono 20 milioni di persone, le cui vite sono minacciate da una combinazione di siccità e conflitti armati. Purtroppo le condizioni politiche nei teatri di crisi stanno rendendo i soccorsi difficilissimi. In Sud Sudan, dove dal 2013 infiamma una brutale guerra civile, governo e forze ribelli impediscono deliberatamente agli aiuti di raggiungere la popolazione. Il risultato è che 5 milioni di persone non si alimentano correttamente, mentre per 100mila abitanti è cominciata una vera e propria carestia. 

Lo Yemen versa in condizioni simili: le fazioni in lotta nella guerra civile impediscono l’accesso agli aiuti umanitari, bombardando regolarmente il porto principale, in un paese dove il 90% del cibo arriva dall’estero. Nel Nord della Nigeria è la presenza di Boko Haram, e l’offensiva lanciata contro di esso dall’esercito, ad aver causato migliaia di sfollati, oltre al collasso dell’agricoltura locale. Il rischio di carestia è elevatissimo, e anche in questo caso molte aree non possono essere raggiunte dalle operazioni di soccorso per motivi di sicurezza.

Dei quattro paesi, la Somalia è l’unico in cui la guerra non è il fattore scatenante della carestia. Nel nordest del paese, dove si vive perlopiù di pastorizia, la siccità ha decimato il bestiame e costretto gli abitanti a viaggiare centinaia di chilometri in cerca d’acqua e cibo. In altre zone sono gli agricoltori a patire, affamati da una sequela di raccolti disastrosi. Ma certamente il protrarsi del conflitto con i jihadisti di al-Shabab complica le cose. Durante la carestia del 2011, i territori più colpiti furono quelli controllati dal gruppo terroristico, che fece di tutto per bloccare gli aiuti delle organizzazioni umanitarie.

Per evitare la catastrofe l’ONU ha chiesto 4,4 miliardi di dollari entro la fine di aprile, ma finora ne ha ricevuti solo 984 milioni. Molte missioni di soccorso non sono quindi potute partire, col risultato che un “disastro prevenibile sta diventando rapidamente inevitabile”, ha spiegato Adrian Edwards, portavoce dell’UNHCR. Per quanto allarmate, le parole di Edwards conservano una certa fiducia nel ruolo di organismi internazionali come l’ONU. 

La convinzione che, se i finanziamenti arrivassero, sarebbe possibile arginare questo disastro. E’ certamente auspicabile che la raccolta fondi vada a buon fine. Ma i fatti parlano da soli: con il persistere di conflitti nelle zone di crisi, per ONU e altre organizzazioni umanitarie lo spazio di manovra è davvero ridotto.

Tommaso Carboni

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.