“Sono uscito convinto che molti sanno che moriranno nel carcere più disumano del mondo, nonostante la giovane età”
Alberto López è un giornalista spagnolo del Dipartimento di Comunicazione della Procura Missionaria Salesiana di Madrid. Pochi giorni fa ha visitato una delle prigioni più disumane nel mondo, al fine di preparare le riprese per un documentario sul lavoro dei Salesiani con i minori più svantaggiati della Sierra Leone.
Chi avrebbe mai potuto immaginare che un carcere in Sierra Leone non avesse telecamere di sicurezza, che nell’area controllo all’interno del cortile, tra le baracche e i prigionieri, le guardie dopo pranzo si mettessero a dormire con la divisa slacciata, che decine di prigionieri, nudi, stessero sparsi per il cortile, lavandosi a secchiate d’acqua, e che i prigionieri condannati a morte vestissero di nero con un grande “C” cucita sulle uniformi… Io non l’ho sognato: sono stato di nuovo nel carcere denominato “l’inferno sulla terra” per più di due ore…
La mia prima visita era avvenuta grazie ad un Salesiano che mi aveva presentato come un grande benefattore europeo che donava molto denaro alla prigione. Il pretesto era credibile perché Don Bosco Fambul è l’unica organizzazione che entra liberamente in carcere e ha un piccolo edificio per occuparsi di un gruppo di prigionieri, molti dei quali giovani e malati, ma comunque tutti deboli e malnutriti.
Quella visita mi permise di vedere come delle semplici mura e un recinto nel centro della città potessero far tornare indietro di decenni la situazione e i diritti dei prigionieri. Ho visto situazioni spaventose, che rimangono invariate.
L'unico fotografo che poté entrare, anni fa, fu Fernando Moleres che documentò con delle immagini che trasmettono dolore e disperazione. Da allora è vietato entrare con macchine fotografiche o telefoni.
In quest’occasione, nella mia seconda visita, il mio ruolo è stato quello dell’assistente del medico-infermiere, il missionario salesiano che cerca di portare un po' di Cielo nell’inferno della prigione: don Jorge Crisafulli. Con un voluminoso equipaggiamento, ricco di scomparti pieni di tutti i tipi di farmaci, test e attrezzature mediche, siamo entrati nel carcere, per fare un riconoscimento di tutto quanto e vivere un'altra esperienza indicibile nella quale la sofferenza è mescolata con la rassegnazione e l’apatia dei detenuti e anche con la gratitudine per ogni gesto di attenzione.
Sono uscito convinto che molti sanno che moriranno nel carcere più disumano del mondo, nonostante la giovane età.
Chi avrebbe mai potuto immaginare che un carcere in Sierra Leone non avesse telecamere di sicurezza, che nell’area controllo all’interno del cortile, tra le baracche e i prigionieri, le guardie dopo pranzo si mettessero a dormire con la divisa slacciata, che decine di prigionieri, nudi, stessero sparsi per il cortile, lavandosi a secchiate d’acqua, e che i prigionieri condannati a morte vestissero di nero con un grande “C” cucita sulle uniformi… Io non l’ho sognato: sono stato di nuovo nel carcere denominato “l’inferno sulla terra” per più di due ore…
La mia prima visita era avvenuta grazie ad un Salesiano che mi aveva presentato come un grande benefattore europeo che donava molto denaro alla prigione. Il pretesto era credibile perché Don Bosco Fambul è l’unica organizzazione che entra liberamente in carcere e ha un piccolo edificio per occuparsi di un gruppo di prigionieri, molti dei quali giovani e malati, ma comunque tutti deboli e malnutriti.
Quella visita mi permise di vedere come delle semplici mura e un recinto nel centro della città potessero far tornare indietro di decenni la situazione e i diritti dei prigionieri. Ho visto situazioni spaventose, che rimangono invariate.
L'unico fotografo che poté entrare, anni fa, fu Fernando Moleres che documentò con delle immagini che trasmettono dolore e disperazione. Da allora è vietato entrare con macchine fotografiche o telefoni.
In quest’occasione, nella mia seconda visita, il mio ruolo è stato quello dell’assistente del medico-infermiere, il missionario salesiano che cerca di portare un po' di Cielo nell’inferno della prigione: don Jorge Crisafulli. Con un voluminoso equipaggiamento, ricco di scomparti pieni di tutti i tipi di farmaci, test e attrezzature mediche, siamo entrati nel carcere, per fare un riconoscimento di tutto quanto e vivere un'altra esperienza indicibile nella quale la sofferenza è mescolata con la rassegnazione e l’apatia dei detenuti e anche con la gratitudine per ogni gesto di attenzione.
Sono uscito convinto che molti sanno che moriranno nel carcere più disumano del mondo, nonostante la giovane età.
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