Il 28 dicembre 2016 sette ragazzi sono stati arrestati dalla polizia a Bosaso, nel Puntland, regione della Somalia nord-orientale. L’accusa è di aver ucciso tre alti funzionari in servizio.
Ayub Yasin Abdi (14 anni), Muhamed Yasin Abdi (17), Daud Saied Sahal (15), Abdulhakin Muhamed Aweys (17), Hassan Adam Hassan (16), Nour Aldiin Ahmed (17) e Ali Ismaeil Ali (15) sono stati rinchiusi in containers per circa due settimane prima di essere trasferiti in una stazione di polizia.
Due dei ragazzi hanno detto alle loro famiglie che sono stati sottoposti a varie forme di tortura e ad altri maltrattamenti, inclusi scariche elettriche, bruciature con sigarette sui genitali, simulazione d’annegamento, pugni e violenza sessuale fino a quando non hanno “confessato ” e firmato le confessioni degli omicidi.
Il 13 febbraio i sette ragazzi sono stati processati davanti a un tribunale militare, che li ha trovati colpevoli di omicidio e condannati a morte. Secondo i familiari, l’unica prova fornita dall’accusa è stata la loro confessione. Non hanno avuto accesso ad un avvocato durante il processo e non sono stati autorizzati a ritrattare le “confessioni” forzate. Un mese dopo questa sentenza hanno presentato, senza successo, appello contro la loro detenzione e la condanna a morte, ma il giudizio iniziale è stato confermato da un tribunale militare superiore. Anche nel ricorso è stato negato l’accesso all’assistenza legale.
Cinque dei sette ragazzi sono stati messi a morte l’8 aprile, mentre Mohamed Yasin Abdi e Daud Saied Sahal sono ancora detenuti e rimangono a rischio di esecuzione. Le famiglie dei cinque non sono a conoscenza di dove e come l’esecuzione sia avvenuta: hanno appreso la notizia alla radio. Non è stato possibile recuperare i corpi per la sepoltura.
I minori uccisi appartenevano a uno dei clan minoritari del Puntland, il Madibaan, che è stato storicamente emarginato e discriminato dalle autorità e da altri clan. Amnesty International teme che i ragazzi siano stati un bersaglio facile a causa della loro appartenenza a un clan di minoranza. I due che rimangono in detenzione sono membri dei sub-clan più dominanti di Diseshe e Ali Seleban.
Il 13 febbraio i sette ragazzi sono stati processati davanti a un tribunale militare, che li ha trovati colpevoli di omicidio e condannati a morte. Secondo i familiari, l’unica prova fornita dall’accusa è stata la loro confessione. Non hanno avuto accesso ad un avvocato durante il processo e non sono stati autorizzati a ritrattare le “confessioni” forzate. Un mese dopo questa sentenza hanno presentato, senza successo, appello contro la loro detenzione e la condanna a morte, ma il giudizio iniziale è stato confermato da un tribunale militare superiore. Anche nel ricorso è stato negato l’accesso all’assistenza legale.
Cinque dei sette ragazzi sono stati messi a morte l’8 aprile, mentre Mohamed Yasin Abdi e Daud Saied Sahal sono ancora detenuti e rimangono a rischio di esecuzione. Le famiglie dei cinque non sono a conoscenza di dove e come l’esecuzione sia avvenuta: hanno appreso la notizia alla radio. Non è stato possibile recuperare i corpi per la sepoltura.
I minori uccisi appartenevano a uno dei clan minoritari del Puntland, il Madibaan, che è stato storicamente emarginato e discriminato dalle autorità e da altri clan. Amnesty International teme che i ragazzi siano stati un bersaglio facile a causa della loro appartenenza a un clan di minoranza. I due che rimangono in detenzione sono membri dei sub-clan più dominanti di Diseshe e Ali Seleban.
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