Giornata Mondiale del Rifugiato - MOAS rende omaggio al tema di quest’anno “Passati diversi, futuro comune” condividendo storie autentiche di persone che hanno vissuto l’esperienza della migrazione forzata. Oggi siamo orgogliosi di condividere con voi la storia di Nadine. Nadine ha 22 anni, viene dal Camerun e viaggiava con la figlia quando è stata salvata dall’equipaggio MOAS nel Mediterraneo Centrale nel Maggio 2017. Ecco la sua storia.
“Dopo la morte di mio padre, mia sorella maggiore ha deciso di mettersi in viaggio e cambiare paese. Non voleva più rimanere in Camerun perché la morte di mio padre l’aveva molto scossa. A quel tempo vivevamo a Yaoundé in una stanza. Ha avuto il passaporto visto che un nostro zio vive in Olanda e gli ha detto che voleva abbandonare il paese. Mio zio non ci diede i documenti necessari per il viaggio e quindi è partita con me soltanto. È stata lei a crescermi, non mia mamma. Mi disse che saremmo partite per un’avventura e iniziammo il viaggio senza che nemmeno mia madre lo sapesse. Prima abbiamo attraversato la Nigeria. A quel tempo c’era Boko Haram, ma l’abbiamo attraversato senza che ci succedesse nulla. Quando arrivammo in Niger, non avevamo più soldi e siamo rimaste lì. In Niger incontrò un uomo e si sistemò lì.
Poi io incontrai un uomo che mi disse che voleva sposarmi… Fu la prima cosa che mi disse. Ho sempre vissuto con mia sorella maggiore, non conoscevo quest’uomo… Non ne sapevo nulla di uomi ni.
Se mi piaceva qualcuno, lo raccontavo a mia sorella e lei mi dava dei consigli. Ma in quel periodo mia sorella non era lì e quest’uomo venne, mi disse che voleva sposarmi, che avremmo dovuto stare insieme, che voleva stare con me. Quando rimasi incinta… il semplice fatto che eravamo stati insieme… Non ero d’accordo. Non volevo farlo prima del matrimonio, ma lui continuava a fare pressione su di me dicendo che voleva sposarmi, che dovevo fidarmi di lui. E ho ceduto. Cedendo, sono rimasta incinta.
Quando lo dissi a mia sorella, mi chiese “Che cosa dirò a casa?”. Mia madre non sapeva che ero incinta. “ti ho portata via dal paese, se ritorno con te incinta, mi dirà che le ho distrutto una figlia”.
Sono andata in Libia perché mia sorella mi aveva indicato la strada. Fu lei a darmi questo consiglio: “Da questa strada si arriva in Italia. Ti do i soldi e ci vai”. Mi disse “Non posso aiutarti, non posso permettermelo ma non posso nemmeno rimandarti indietro nel nostro paese perché nostra madre mi chiederebbe cosa ho fatto a sua figlia: Hai portato via mia figlia e me la riporti incinta”. Mi disse: “Ho un’idea, c’è una strada che spesso le persone usano per arrivare in Europa. Prendila e pregherò per te”…
Dopo un anno in Niger con sua sorella, Nadine ha intrapreso il pericoloso viaggio attraverso la Libia come fanno in migliaia ogni anno. La Libia è stata l’ultima fermata prima di salire un gommone fatiscente con la sua bimba e molte altre persone tentando la traversata.
In Libia sono stata tenuta prigioniera per mesi e mesi, poi è nata la bambina. Non avevo nessun aiuto. Mentre partorivo, urlavo che volevo andare in ospedale. Mi dissero: “Non c’è nessun ospedale qui. Se ti portiamo in ospedale, verrai rapita per strada, messa in prigione e chiederanno un riscatto per liberarti. Meglio se rimani qui perché almeno qui le persone ti conoscono”. Mia figlia è nata in prigione senza medicine, dottori. Niente. Un libico mi ha aiutata. Dopo la nascita della bambina, alcuni -non tutti- ebbero pietà di me: chiesero dei vestiti ad una donna in un negozio perché era appena nata una bambina e non aveva nulla. Il suo nome era Hope(speranza) ed era nata il 7 Gennaio. Le diedi quel nome mentre ero ancora incinta. Decisi che quando avrei partorito, l’avrei chiamata Hope, ma non potevo sapere che avrei sofferto così tanto…
Volevo tornare a casa, ma non potevo. Questa volta chiamai mia sorella dicendole che volevo tornare indietro. “Per favore mandami del denaro così posso andar via da qui e tornare indietro”. Mi rispose “Se provi a tornare, ti rapiranno. Tornare indietro è impossibile. Ormai sei in Libia”. Dopo tutto quel dolore volevo solo fuggire, lasciare la Libia. Dovevo andarmene dalla Libia ad ogni costo. Non volevo stare in prigione con mia figlia per sempre. Chi mi avrebbe aiutata?
Per andare dalla prigione alla barca, sono stata aiutata dai Libici dopo aver visto quanto stavo soffrendo. Hanno aiutato me e mia figlia ad imbarcarci: non ho dovuto pagare nulla.
Prima di lasciare il Camerun, facevo la parrucchiera e così anche quando vivevo con mia sorella. Ho sempre voluto fare l’estetista. Se potessi dare un consiglio a chi pensa di intraprendere questo viaggio, direi che non è semplice. Meglio rimanere nel proprio paese. Quando ripenso a cosa ho lasciato… Ero giovane, ero bella… Guarda come sono adesso… Non ho idea di cosa mi aspetti in Europa. Mi hanno solo detto di andare lì. Voglio solo essere aiutata”.
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