“No Justice without Life”, “Nessuna giustizia senza vita”. E’ il tema della conferenza in corso a Washington promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e da un folto numero di organizzazioni cattoliche statunitensi e non solo impegnate contro la pena di morte.
Sull’importanza di questo evento, Alessandro Gisotti ha intervistato Carlo Santoro, coordinatore di Sant’Egidio contro la pena di morte, raggiunto telefonicamente nella capitale statunitense:
R. - Nell’ambito dell’assemblea generale di questa associazione che è la World coalition to abolish death penalty che raccoglie 150 associazioni del mondo noi, insieme alla Chiesa cattolica statunitense, abbiamo organizzato questo evento a cui hanno partecipato anche diversi familiari delle vittime.
D. - Quali sono le indicazioni che sono emerse da questa riunione che ovviamente guarda agli Stati Uniti ma non solo?
R. - Ci sono state voci, ad esempio dall’India, ma anche dalla Nigeria… Le indicazioni sono forti. Io penso che noi dobbiamo tutti lavorare molto più insieme e in connessione tra di noi e questo mi sembra molto importante perché ci sono grosse spinte in diversi Stati verso l’uso della pena di morte con la scusa del terrorismo, chiaramente. Però, spesso, scopriamo in molti Paesi che a essere messi a morte in genere si tratta, per esempio, di stranieri. In Paesi come l’Arabia Saudita quasi la metà dei condannati a morte sono in realtà o filippini o nigeriani. Questo perché la pena di morte continua a essere uno strumento politico di repressione ma che spesso anche negli Stati Uniti colpisce le fasce più povere della popolazione. In genere in alcuni Stati, per esempio, in Florida o nel Texas le condanne a morte si concentrano in alcune aree dello Stato. Questo è un fatto significativo non perché ci siano lì dei tassi di delinquenza molto più alti che nel resto dello Stato ma perché è un problema politico e anche di fasce molto povere della popolazione.
D. - C’è un rinnovato appello a rafforzare il movimento contro la pena di morte. In questa battaglia si sente ovviamente l’incoraggiamento e il sostegno di Papa Francesco…
R. - Assolutamente sì. C’è stato chiesto aiuto da parte di Catholic Mobilizing Network, un’associazione che di fatto si rifa alla Conferenza episcopale americana. Noi vogliamo rilanciare il loro appello, venire incontro a questa loro richiesta per rilanciare questo impegno che parte proprio dalle parole del Papa il quale in diverse occasioni ha invitato ad aiutare l’abolizione della pena di morte ma che anche ha detto: “Non solo siamo chiamati come cristiani a combattere per abolire la pena di morte, legale o illegale, ma anche a migliorare le condizioni di vita in carcere”. Questo per noi di Sant’Egidio è molto importante perché ovunque lavoriamo nel mondo siamo a contatto con la realtà del carcere stiamo iniziando una grossa battaglia per umanizzare le carceri a partire da quelle in Africa ma anche a partire dalle nostre, in Italia.
R. - Nell’ambito dell’assemblea generale di questa associazione che è la World coalition to abolish death penalty che raccoglie 150 associazioni del mondo noi, insieme alla Chiesa cattolica statunitense, abbiamo organizzato questo evento a cui hanno partecipato anche diversi familiari delle vittime.
D. - Quali sono le indicazioni che sono emerse da questa riunione che ovviamente guarda agli Stati Uniti ma non solo?
R. - Ci sono state voci, ad esempio dall’India, ma anche dalla Nigeria… Le indicazioni sono forti. Io penso che noi dobbiamo tutti lavorare molto più insieme e in connessione tra di noi e questo mi sembra molto importante perché ci sono grosse spinte in diversi Stati verso l’uso della pena di morte con la scusa del terrorismo, chiaramente. Però, spesso, scopriamo in molti Paesi che a essere messi a morte in genere si tratta, per esempio, di stranieri. In Paesi come l’Arabia Saudita quasi la metà dei condannati a morte sono in realtà o filippini o nigeriani. Questo perché la pena di morte continua a essere uno strumento politico di repressione ma che spesso anche negli Stati Uniti colpisce le fasce più povere della popolazione. In genere in alcuni Stati, per esempio, in Florida o nel Texas le condanne a morte si concentrano in alcune aree dello Stato. Questo è un fatto significativo non perché ci siano lì dei tassi di delinquenza molto più alti che nel resto dello Stato ma perché è un problema politico e anche di fasce molto povere della popolazione.
D. - C’è un rinnovato appello a rafforzare il movimento contro la pena di morte. In questa battaglia si sente ovviamente l’incoraggiamento e il sostegno di Papa Francesco…
R. - Assolutamente sì. C’è stato chiesto aiuto da parte di Catholic Mobilizing Network, un’associazione che di fatto si rifa alla Conferenza episcopale americana. Noi vogliamo rilanciare il loro appello, venire incontro a questa loro richiesta per rilanciare questo impegno che parte proprio dalle parole del Papa il quale in diverse occasioni ha invitato ad aiutare l’abolizione della pena di morte ma che anche ha detto: “Non solo siamo chiamati come cristiani a combattere per abolire la pena di morte, legale o illegale, ma anche a migliorare le condizioni di vita in carcere”. Questo per noi di Sant’Egidio è molto importante perché ovunque lavoriamo nel mondo siamo a contatto con la realtà del carcere stiamo iniziando una grossa battaglia per umanizzare le carceri a partire da quelle in Africa ma anche a partire dalle nostre, in Italia.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.