Pagine

sabato 30 settembre 2017

Sempre più migranti in Grecia e i campi profughi affondano nella miseria



Globalist
Mai cosi tanti dal marzo 2015: arrivano da Siria e Iraq in condizioni drammatiche: le donne stuprate, gli uomini torturati e migliaia di bambini non accompagnati. E i campi d'accoglienza sono al collasso.


Minori non accompagnati che arrivano esausti, donne violate, uomini torturati. La Grecia sta vivendo un drammatico aumento del numero di rifugiati e migranti che entrano nel paese. 


E questo rende sempre più complicate le condizioni di vita nei campi allestiti sull'isola, già tragicamente fatiscenti e al limite del collasso. Il numero di persone che raggiungono l'isola, attraverso le frontiere terrestri e marittime, è più che raddoppiato dall'inizio dell'estate. Gli arrivi hanno toccato il livello più alto dal marzo 2016, con più di 200 uomini, donne e bambini registrati ogni giorno. A darne notizia è il quotidiano inglese The Guardian. 

"È una situazione drammatica", spiega Elias Pavlopoulos, capo di Medici Senza Frontiere in Grecia. "Ci sono famiglie intere che fuggono da zone di guerra in Siria e in Iraq. Negli ultimi mesi abbiamo assistito un numero impressionante di persone che hanno subito abusi e torture, vittime di stupri. Mai visto tanta violenza".

Nonostante l'impegno dell'Unione Europea datato settembre 2015 per trasferire 160.000 richiedenti asilo - di cui 106.000 dalla Grecia e dalla Italia - solo 29.000 migranti sono stati spostati in altri paesi europei.

I rifugiati e gli immigrati arrivano ​​in Grecia non solo via mare dalla Turchia, ma a piedi oltre la frontiera tra i due paesi. Mercoledì, la polizia ha dato notizia che 37 rifugiati, di cui 19 bambini, provenineti dall'Iraq, dalla Siria, dall'Eritrea e dall'Afghanistan, sono stati scaricati da contrabbandieri sull'autostrada nazionale di Salonicco.

"Stiamo vivendo i giorni del 2015", ha dichiarato Pantelis Dimitriou dell'Iliaktida, una ONG locale che accoglie i migranti a Lesbos: "I flussi sono diventati enormi. Da circa 50 a 60 all'inizio di luglio sono attualmente più di 200 ogni giorno. Forse sono le elezioni tedesche, forse si tratta delle relazioni sempre più incrinate tra Turchia e Unione Europea, o forse questa massa che arriva è l'ultima in fuga prima dell'inverno, ma qualcosa sta succedendo". 

Ancora più preoccupante è il numero di minori che compiono il viaggio spesso travagliato per arrivare in Grecia. Save the Children stima che circa il 40% dei nuovi arrivati ​​abbiano meno di 18 anni. Oltre 1.500 minori non accompagnati sono attualmente in lista d'attesa in Grecia per essere alloggiati in rifugi per bambini.

Con i richiedenti asilo siriani bloccati in Egitto: “Lasciati in un limbo di povertà e discriminazioni”

La Stampa
Sono 130mila. Il Fondo dell’Onu per la popolazione (Unfpa) denuncia: «Tra le donne crescono i casi di mutilazioni genitali». L’Europa ha già investito 7,9 milioni per la crisi.

Uno scorcio del quartiere “siriano” della città 6 Ottobre, in Egitto ©European Union/ECHO Peter Biro
Nel 2011, quando tutto è iniziato, Ahmar Kaddah viveva a Daara, in Siria. Studente di diritto internazionale aveva appena messo in piedi uno studio legale con un amico. «Mi avevano buttato fuori dall’università di Damasco - racconta. - Dicevano che la mia famiglia faceva parte dell’opposizione». Dopo due anni passati sotto assedio, nella città simbolo della resistenza ad Assad, l’edificio dove lavorava viene bombardato. Lui decide di scappare, si porta con sé la compagna e il loro bambino. Oggi, quattro anni dopo, Ahmar vive in Egitto. Ha visto nascere altri due figli. Si è riuscito a laureare grazie a una borsa di studio del progetto Hopes, finanziato anche dalla Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea (Echo). «Qui mi sento al sicuro», dice Ahmar, 31 anni, nel cortile della sede del British Council. «Ma non ho troppe speranze per il futuro: ho provato a cercare lavoro come avvocato ma sono siriano, mi sento discriminato. Così tiro avanti vendendo gelati». 

LA CRISI NELLA CRISI
Ahmar è solo uno dei 123 mila siriani registrati dall’Unhcr nel Paese di Al Sisi. L’Egitto, con i suoi quasi 90 milioni di abitanti, ospita in tutto 211 mila richiedenti asilo e rifugiati di 63 nazionalità diverse. Ma la comunità siriana è quella più numerosa. Come Ahmar moltissimi siriani si trovano ora “bloccati” in uno Stato in crisi dove una persona su quattro vive al di sotto la soglia di povertà, una su due non lavora e la svalutazione della moneta ha portato a un raddoppio dei prezzi dei generi alimentari negli ultimi sei mesi. «La situazione economica e sociale si sta deteriorando: ci sono sempre più persone vulnerabili, anche tra i migranti», commenta Aldo Biondi, assistente tecnico della Direzione generale europea Echo. E spiega: «L’Egitto è tra i 5 più grandi Paesi al mondo ad ospitare i siriani». Ma i numeri sono più bassi è così, a differenza di altri Stati (come il Libano, la Giordania o le più vicine isole greche), non ci sono campi profughi o hotspot. «I richiedenti asilo vivono nelle grandi città, soprattutto nelle aree periferiche: Cairo, Alessandria e 6 ottobre».

ARRIVATI ATTRAVERSO IL SUDAN
A 35 chilometri dal Cairo, direzione nord-est, un’intera parte della città di Obur sembra diventata un quartiere della periferia di Damasco. È qui che la scuola della fondazione Syria Al Gad Relief si occupa dei bisogni primari della comunità siriana: educazione, integrazione e percorsi professionali. Tra i corridoi dell’istituto, frequentato per l’80 per cento da bimbi siriani, Hayat racconta la sua storia: «Mio padre è sparito cinque anni fa durante la guerra e due mesi fa è morta mia madre che era scappata con me e i miei fratelli dalla Siria». Hayat ha 18 anni. Per arrivare in Egitto ha preso un aereo verso il Sudan e da lì è risalita, illegalmente, attraversando i confini meridionali. Per mandare avanti ciò che resta della famiglia, i suoi due fratellini più piccoli e una sorella di 21 anni, ha abbandonato gli studi. «Non posso avere sogni. L’unica speranza è quella di raggiungere un mio fratello che si è rifugiato in Svezia». È a ragazze come lei che si rivolgono gli aiuti umanitari europei, 7,9 milioni di euro stanziati dal 2016 a oggi (3,4 solo nel 2017) per diversi progetti di integrazione e inserimento sociale.

LA BOMBA DEMOGRAFICA
Uno degli interlocutori della Commissione europea è l’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Al quartiere generale del Cairo si snocciolano i numeri di quella che sembra ormai diventata una bomba demografica. Con un tasso di fertilità del 3,5% per ogni donna l’Egitto cresce ogni anno di circa 2,4 milioni di abitanti. È come se, ogni sei mesi, una città grande come Milano spuntasse, andando a sommarsi ai residenti urbani concentrati nel 5% del territorio nazionale (il restante 95% desertico, non è abitato). «La questione migratoria con questi dati sembra essere passata in secondo piano», ammette Aleksandar Bodoriza, il rappresentante dell’Unfpa per l’Egitto. C’è il rischio di sottovalutarla. E di non percepire cosa stia accadendo.

“MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI”
«I nostri gruppi di studio hanno registrato un fenomeno inaspettato e, per certi aspetti, sconvolgente: le donne siriane rifugiate qui praticano alle loro figlie la mutilazione genitale», denuncia Germanie Haddad assistente del rappresentate all’Unfpa. «Non abbiamo ancora dei numeri certi ma questa pratica, nonostante sia stata criminalizzata per legge, è molto diffusa tra le egiziane e non riguarda solo le musulmane. Probabilmente è un caso di percezione della pressione sociale: le donne siriane arrivate in Egitto cercherebbero così un modo per farsi accettare dalla comunità di accoglienza». Un fenomeno inquietante che, se confermato dagli studi di gruppo in corso, diventerebbe sintomatico dell’alta vulnerabilità dei siriani in Egitto. Una comunità senza prospettive di lavoro, che ha dilapidato i suoi capitali e ora rischia di “integrarsi” con pratiche che non le sono mai appartenute culturalmente.


Davide Lessi

Acnur - Al via piano per nutrizione infantile in campi in Etiopia

AnsaMed
Madrid - Un programma innovativo per la nutrizione infantile, per ridurre la mortalità nei campi di rifugiati in Etiopia, migliorare l'alimentazione dei minori di 5 anni e favorire l'educazione alla salute e alla cura delle madri. 
E' il progetto MOM, presentato dall'Alto commissionato dell'Onu per i Rifugiati (Acnur), Filippo Grandi, e dal direttore generale della Fondazione Bancaria La Caixa, Jaume Giró.


Finanziato con un milione di euro, MOM rientra nel 'Piano di Innovazione per la nutrizione infantile" firmato da Acnur e dalla fondazione bancaria, che mira a migliorare le condizioni nutrizionali, le abitudini alimentari quotidiane e l'educazione alla salute e alla cura delle madri. 
L'80% della popolazione rifugiata nei campi in Etiopia è costituita da donne e bambini provenienti dalla Somalia e dal Sud Sudan, per i quali la malnutrizione costituisce il problema più grave.
"Potremo salvare le vite di molti più bambini e donne rifugiati in Etiopia con interventi nutritivi che daranno ai più piccoli, che sono anche i più vulnerabili, un migliore inizio di vita", ha spiegato Filippo Grandi nel corso della presentazione del progetto, a Barcellona. 

La denutrizione colpisce un essere umano su tre, secondo il Global Nutrition Report del 2016, nell'ambito degli Obiettivi di sviluppo sostenibili (ODS). Una cifra che si moltiplica in situazioni di emergenza, in modo tale che la mortalità arriva ad essere anche 70 volte superiore. Nei bambini minori di 5 anni, i fattori collegati alla nutrizione contribuiscono per il 45% alle morti in età precoce.

Abbattere questi rischi è la finalità del progetto MOM, che in futuro sarà esteso anche ad altri paesi che ospitano popolazioni rifugiate. Negli ultimi 15 anni, Acnur e la Fondazione Bancaria La Caixa hanno collaborato a 15 progetti in Sudan del Sud, Ciad,Siria, con la donazione di 2,5 milioni di euro, che ha consentito di assistere un milione di rifugiati.

Paola Del Vecchio

venerdì 29 settembre 2017

L'accanimento del Bahrein contro Nabil Rajab, difensore dei diritti umani

Corriere della Sera
Nabil Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein, si è visto rinviare ancora una volta, e sono ormai quasi 20, il processo. Da mesi ricoverato in un ospedale gestito dal ministero dell'Interno, Rajab sta già scontando una condanna a due anni, emessa il 10 luglio per "pubblicazione e diffusione di voci e notizie false relative alla situazione interna del paese", a causa di due interviste rilasciate nel 2015 e nel 2016.

Non si conosce ancora la data dell'appello. 
Il processo rinviato oggi riguarda invece due tweet con cui Rajab aveva criticato l'intervento militare in Yemen e aveva denunciato, le torture compiute nel 2015 nella prigione di Jaw a seguito di una rivolta. 

Rischia 15 anni di carcere per "diffusione di notizie false in tempo di guerra", "offesa a un pubblico ufficiale" (il ministro dell'Interno) e "offesa a un paese straniero". La prossima udienza per Rajab è prevista il 19 novembre. Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani continuano a chiedere il suo rilascio immediato e incondizionato.

di Riccardo Noury

In Azerbaigian ondata di arresti contro gay e transessuali: 60 fermati

Globalist
Non è facile essere gay in moltissime parti del mondo. Comprese le repubbliche ex societiche oltre alla Russia: c'è stata un'ondata di arresti contro esponenti della comunità Lgbt a Baku, dove negli ultimi dieci giorni almeno 60 persone, fra gay, transessuali o presunti tali, sono state arrestate, secondo quanto denunciano attivisti azeri citati dal Guardian

"Ci sono state diverse campagne contro personeLgbt in precedenza ma questa è molto più ampia, con operazioni sistematiche ed estese", ha spiegato l'avvocato Samed Rahilimi, che coordina la difesa di molti degli arrestati, almeno uno dei quali è stato picchiato in carcere.
Molti degli arrestati sono stati condannati a 20 giorni di prigione o sanzionati, con l'accusa di aver opposto resistenza alla polizia, "una accusa comune in Azerbaigian per arresti arbitrari". 

Formalmente, in Azerbaigian non ci sono leggi che perseguono le persone con orientamenti sessuali diversi, ma il paese è classificato, dall'indice compilato da Ilga-Europe Rainbow, come il peggiore in cui vivere in Europa per un gay.

Il portavoce del ministero degli Interni Eskhan Zakhidov, ha spiegato all'agenzia Apa che "gli arresti colpiscono persone che dimostrano mancanza di rispetto per gli altri, infastidiscono concittadini con il loro comportamento e anche portatori di malattie infettive, a giudizio della polizia o delle autorità sanitarie, non minoranze sessuali".

Roma 2017 - Se sei "straniero" e ti assegnano la casa popolare scoppia il razzismo.

Blog Diritti Umani - Human Rights
Ormai a Roma sei di origine straniera non è facile entrare 
nella casa popolare che ti è stata assegnata. Quando ti presenti per prendere possesso del tua casa avvengono manifestazioni vergognose di fascismo e di razzismo da parte di alcuni abitanti del quartiere.

Come quello che è avvenuto ieri dove ci sono stati scontri tra polizia e militanti Forza Nuova nel quartiere del Trullo. I tafferugli sono iniziati durante la protesta dei militanti di estrema per la consegna di un'abitazione popolare a una famiglia di origine etiope, in uno degli stabili di via Giovanni Porzio, 55. Quattro persone sono state arrestate al termine degli scontri per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.

Purtroppo non è un episodio isolato:

Dicembre 2016: A dicembre dello scorso anno alcuni abitanti di via Filottrano, a San Basilio, erano scesi in strada per evitare che la famiglia assegnataria, marito e moglie marocchini con tre bambini, prendesse possesso di un alloggio Ater. "Non vogliamo negri nè stranieri qui, ma soltanto italiani" ripetevano i manifestanti ai caschi bianchi del gruppo sicurezza pubblica emergenziale e gruppo Tiburtino. La famiglia ha poi ottenuto un alloggio a Tor Sapienza.

Gennaio 2017:  alcune decine di militanti di estrema destra al Trullo hanno organizzato un picchetto bloccando, di fatto, l’ingresso al condominio a una famiglia egiziana, legittima assegnataria di un alloggio Ater, e facendo intanto rientrare nella casa i due giovani italiani che la occupavano abusivamente.


Giugno 2017: uomo di origine bengalese, ancorché con cittadinanza italiana, è stato aggredito con calci e pugni a Tor Bella Monaca da alcuni ragazzi italiani ai quali stava chiedendo informazioni per raggiungere l'abitazione popolare assegnatagli dal Comune. "Qui non c'è posto per te. Lascia stare le case popolari", avrebbero detto i ragazzi strappandogli le carte che aveva in mano prima di aggredirlo brutalmente.

E' una realtà preoccupante che si sta affermando nei quartieri della Capitale. Occorre stigmatizzare questi episodi di estrema gravità. E' un segnale di come si sta alimentando un clima di odio verso chi viene identificato come un nemico e vengono negati i diritti solo perché di origine straniera o per il colore della pelle. Questo è razzismo! 

ES

giovedì 28 settembre 2017

Migranti, in Lombardia 300 "tutori" pronti ad accogliere un minore non accompagnato

La Repubblica - Milano
Le richieste già valutate e ritenute idonee sono 265. Il volontario si fa carico della rappresentanza giuridica del ragazzo e vigila sul suo benessere anche in vista del ricongiungimento con la famiglia.
In Lombardia sono più di 300 le persone che hanno deciso di offrirsi come tutori di minori stranieri non accompagnati. A diffondere i dati è l'ufficio del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione al quale, a partire dall'apertura del bando nel luglio scorso, sono arrivate le candidature. 

Secondo l'autorithy guidata da Massimo Pagani, i minori non accompagnati presenti in Lombardia sarebbero almeno mille. "Fatti gli elenchi - ha spiegato Pagani - adesso è il momento di lavorare sodo affinché questo esercito del bene che si è costituito possa essere in grado di dare risposte a un'esigenza sociale che negli ultimi anni è andata sempre più aumentando".

La figura del tutor volontario, introdotta dalla legge 7 aprile 2017, prevede non solo che si faccia carico della rappresentanza giuridica del minore non accompagnato, ma anche lo sviluppo di una sorta di "genitorialità sociale" e cittadinanza attiva. 

Il tutore, infatti, deve vigilare sul benessere psico-fisico del tutelato, amministrare il suo eventuale patrimonio, seguire percorsi formativi, scolastici e di ricongiungimento famigliare dei minori stranieri.

Guardando ai numeri, delle oltre 300 candidature pervenute, 265 sono state valutate e ritenute idonee. Tra queste 141 provengono dalla provincia di Milano, mentre le altre sono arrivate da Bergamo (25), Monza e Brianza (22), Varese (17), Brescia (16), Como (12), Lecco (11), Pavia (8), Lodi (6), Mantova (4), Sondrio (2) e Cremona (1). 

Le domande, tuttavia, con continuano ad arrivare. Al momento sono state formate due liste: una per il tribunale dei minorenni di Milano e l'altra per quello di Brescia.

Ennesima strage Usa a Kabul: raid contro i talebani, missile fuori controllo fa strage di civili

Globalist
La Nato ha ammesso l'errore 'perché un missile ha funzionato male'. Ossia hanno sparato sulla gente.

Ennesima strage, ennesimo bombardamento sciagurato: un raid aereo americano, lanciato in risposta a un attacco dei talebani all'aeroporto internazionale di Kabul, ha causato "diverse vittime" perché un missile "ha funzionato male". Lo ha reso noto la Nato, senza precisare se si tratta di morti o di feriti.

"Purtroppo un missile ha funzionato male, causando diverse vittime", si legge in un comunicato della missione Nato Resolute Support.
I miliziani hanno lanciato oggi diversi missili e colpi di mortaio contro l'aeroporto e la vicina zona residenziale, poche ore dopo l'arrivo nella capitale afgana del segretario alla Difesa Usa Jim Mattis. Secondo la Nato, i talebani hanno anche "azionato giacche esplosive, mettendo in pericolo numerosi civili".

Le forze americane sono allora intervenute con "un sostegno alle forze afgane di intervento rapido, lanciando un raid aereo", ha spiegato l'Alleanza atlantica, esprimendo "profondo rammarico" e annunciando che "è in corso un'inchiesta sull'operazione e sul missile difettoso".

Secondo un bilancio fornito dal ministero dell'Interno afgano, nell'attacco dei talebani una donna è morta e 11 civili sono rimasti feriti.

Affondata la legge sullo Ius soli è una resa senza nobiltà

La Repubblica
di Mario Calabresi
Hanno vinto la propaganda della Lega, la furbizia di Grillo e Di Maio, le paure e le mistificazioni. Hanno perso ottocentomila ragazzi, la politica che ha il coraggio di scegliere e uno scampolo di idea che si poteva ritenere di sinistra, ma perfino di centro.


Certo la legge è stata affondata da Angelino Alfano e dal suo piccolo partito, in cerca di una casa che garantisca di poter sedere ancora al tavolo del potere nella prossima legislatura. Ma questo è successo anche perché il Partito democratico non è stato capace di indicare le proprie priorità a un alleato che ha incassato enormemente più di quanto valga (basti pensare alle poltrone ministeriali collezionate da Alfano, al cui confronto impallidiscono persino i big della Prima Repubblica).

La legge che dava la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri che avessero un regolare permesso di soggiorno (da almeno 5 anni) non verrà approvata in questa legislatura ed è rinviata a un futuro indefinito. Un futuro però che possa garantire ai politici la sicurezza di non indisporre nessuno e di non rischiare nulla.

Sfruttando l’occasione del voto tedesco, Alfano ha coniato una frase di cui pareva molto orgoglioso: «Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata». E allora meglio fare direttamente una cosa sbagliata: arrendersi alla Lega, nella convinzione di poter conquistare qualche voto. Un gigantesco abbaglio. Alfano, che pretenderebbe di rivolgersi a un elettorato cattolico, e il partito di Matteo Renzi non portano a casa un solo voto in più da questa vicenda, anzi perderanno quelli di chi si chiede dove sia finito il coraggio delle proprie idee e convinzioni.

A luglio, quando la legge venne rinviata, si disse che non la si poteva approvare in un momento in cui i migranti sbarcavano in massa sulle nostre coste (stabilendo un legame tra le due cose che non ha fondamento), così venne messa in campo la strategia di Marco Minniti per fermare i flussi dall’Africa e insieme paure e ansie. Gli sbarchi sono crollati, il ministro dell’Interno ha varato un piano di diritti e doveri per i rifugiati, ma ora crolla il patto politico che voleva tenere insieme sicurezza e integrazione. Integrazione, in questo caso, non di chi è arrivato con i gommoni degli scafisti ma di chi è nato e cresciuto in Italia.

Quello che è successo è il perfetto segno dei tempi, quello in cui le grida degli ultrà vincono sulla razionalità e il buon senso, quello in cui si mescolano i piani e ci si piega alle generalizzazioni. Come ha ben spiegato su questo giornale Ilvo Diamanti, il tema immigrazione sale in cima alle preoccupazioni degli italiani ogni volta che ci sono le elezioni, sarà un caso o il frutto di una propaganda elettorale avvelenata?

Ed è un segno dei tempi pensare anche di cancellare i problemi rimuovendoli. Domenica scorsa Ernesto Galli della Loggia ha messo in evidenza sul Corriere della Sera perplessità e dubbi sullo Ius soli, mettendo al centro le difficoltà culturali dell’integrazione dei musulmani — che sarebbero comunque solo un terzo dei beneficiati dalla legge — oltre che la possibilità di mantenere una doppia cittadinanza (non si capisce perché sia lecito e pacifico poter avere il passaporto italiano e quello statunitense ma sospetto mantenere quello marocchino o senegalese).

È chiaro che i problemi esistono, come sottolinea Galli della Loggia, di fronte a culture e comunità che non riconoscono alle donne gli stessi diritti degli uomini, ma allora la soluzione è negare la cittadinanza alle bambine che a 12 anni vengono rispedite nei loro Paesi per i matrimoni combinati o che non possono andare all’università anche se sono molto più brave dei loro fratelli? La soluzione è arrendersi di fronte a mentalità arretrate o difendere quelle bambine con una cittadinanza che permetta di integrarle e far progredire le loro comunità?

Arrendersi alla chiusura di quelle comunità, che vivono e continueranno a vivere nelle nostre città, è l’errore più grande che possiamo fare e che complicherà il nostro futuro. Abbiamo sprecato un’occasione gigantesca, reso inutile un finale di legislatura che poteva provare ad essere nobile e accettato di perdere la partita rinunciando a giocarla.

mercoledì 27 settembre 2017

Libia. "Seimila stranieri nelle prigioni di Tripoli"

Avvenire
Sono almeno seimila le persone che vivono nei centri di detenzione in Libia. Ci sono 1 milione 300mila persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, ha spiegato Roberto Mignone, rappresentante dell'Acnur in Libia. Ho perso tutto, non si può vivere in Libia, è diventato troppo pericoloso", ha detto ai soccorritori della nave "Aquarius" un giovane libico di 26 anni.


Anche i libici scappano dalla Libia. Non sono solo i migranti subsahariani a tentare di abbandonare il Paese nordafricano. Le condizioni di instabilità e di violenza spingono gli stessi cittadini libici a cercare Paesi più sicuri.
La nave della Ong Sos Mediterranée lunedì ha infatti tratto in salvo 20 naufraghi-tutti libici, fra loro anche quattro donne e due bambini da una piccola imbarcazione a 25 miglia dalla costa libica, a nord di Sabrata. 

"L'imbarcazione è stata individuata via radar e binocolo - fanno sapere dalla organizzazione umanitaria italo-franco-tedesca. Dopo aver telefonato ripetutamente senza ottenere risposta alla sala operativa della Guardia Costiera Libica, la coordinatrice dei soccorsi ha chiesto ed ottenuto dal Mrcc di Roma l'autorizzazione di trasportare nella clinica a bordo della nave Aquarius un bambino con difficoltà respiratorie e alcune persone che presentavano segni di disidratazione. Poi tutti i passeggeri a bordo della imbarcazione in difficoltà sono stati trasferiti a bordo della nave".

Sono tutti libici in fuga. "In Libia non c'è più lavoro e si rischia di continuo di essere aggrediti", ha detto ai soccorritori un giovane libico di 26 anni. Una giovane coppia di studenti ha raccontato di essere stata costretta a fuggire dalla Libia a causa del generalizzato clima di violenza. "Il mondo deve sapere cosa sta succedendo in Libia, la situazione è drammatica. Le persone rischiano di essere uccise per niente e, se non succederà qualcosa, moriranno tutti".

Anche i medici dell'associazione Medu (Medici per i diritti umani) denunciano le terribili violenze sui migranti di passaggio in Libia. E lo fanno attraverso un video-racconto nel quale vengono pubblicate le testimonianze raccolte negli ultimi quattro anni. Storie terribili, fatte con le parole ma anche con gli occhi di chi le ha vissute sulla propria pelle. "Il 90% delle persone curate negli ultimi tre anni risultavano vittime di torture" spiegano i medici dell'associazione umanitaria impegnata negli sbarchi e nei centri di identificazione in Sicilia e nell'assistenza dei migranti in transito a Roma.

Sono almeno 6mila le persone che vivono nei centri di detenzione in Libia. Ci sono un milione e 300mila persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria. "Questo numero include gli sfollati interni, che sono quasi mezzo milione", ha spiegato Roberto Mignone, rappresentante dell'Acnur in Libia, in audizione dalla Commissione diritti umani del Senato. Per quanto riguarda i centri di detenzione, l'Agenzia ha accesso a 27 di questi.

"Quest'anno abbiamo svolto 700 visite: nel migliore dei casi ci sono problemi di sovraffollamento, in altri, gravi violazioni di diritti umani". Per quanto riguarda i centri "non ufficiali", invece, Mignone parla di situazioni "preoccupanti". E proprio per superare il "modello" dei centri, Roma sta mettendo a punto un bando per l'assistenza umanitaria in Libia. Lunedì serali ministro degli Esteri Angelino Alfano ha presieduto un primo incontro con le Ong potenzialmente interessate ad operare. In totale sono 231e organizzazioni che hanno confermato la loro disponibilità.

Medici senza frontiere non parteciperà invece al bando. "Questi ragionamenti si dovevano fare prima di "intrappolare" le persone in Libia - commenta Marco Bertotto, responsabile Msf Italia - operiamo in Libia e continueremo a farlo con risorse nostre. In questi centri stiamo operando da più di un anno, con accesso limitato e con personale locale. La realtà oggettiva è ben diversa rispetto all'ottimismo dell'operazione".

di Daniela Fassini

Bangladesh: Unicef, “60% dei 429.000 rifugiati Rohingya sono bambini. Crisi umanitaria tremenda”

SIR
“Come per gli Yazidi quella dei Rohingya è una persecuzione di cui occorre parlare. Dal 25 agosto ad oggi circa 429.000 rohingya sono fuggiti dal Myanmar e hanno trovato rifugio in Bangladesh. La situazione è insostenibile: il 60% di questi rifugiati sono bambini”. 

Lo afferma oggi Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia, ricordando la drammatica situazione della minoranza musulmana Rohingya in Myanmar. 
“Entrando nei campi sfollati, dove questa popolazione vive in condizioni assurde, ciò che più colpisce è il numero impressionante di bambini. Bambini che non hanno dormito per giorni, deboli e affamati dopo un viaggio lungo e faticoso che li ha portati in Bangladesh. Questi bambini insieme alle loro famiglie hanno bisogno di tutto: acqua potabile, servizi igienici e uno spazio sicuro e pulito dove vivere”. 
dice Iacomini

In soli 7 giorni il ministero della Salute del Bangladesh con il sostegno di Unicef e Organizzazione mondiale della sanità ha vaccinato 150.000 bambini Rohingya contro il morbillo, la rosolia e la poliomielite in 68 insediamenti diversi. 

L’Unicef ha identificato 512 minori non accompagnati o separati e sta facendo il possibile per ricongiungerli alle loro famiglie. “La situazione però non sembra destinata a migliorare. È una crisi umanitaria tremenda e colpisce soprattutto i bambini”, conclude Iacomini.


Comunità di Sant'Egidio

Georgia - Corte Suprema USA blocca in extremis, per vizio raziale, pena di morte di Keith Tharpe

Blog Diritti Umani - Human Rights
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha bloccato in modo inaspettato l'esecuzione della condanna a morte per un uomo nero condannato per omicidio in Georgia.

Keith Tharpe
La decisione del più alto organo giudiziario statunitense è arrivata in serata mentre Keith Tharpe stava attendendo di ricevere l'iniezione letale.

Dopo aver inizialmente rinviato l'esecuzione programmata alle 19:00 (23:00 GMT), la Corte Suprema di Washington ha infine ordinato la sua sospensione in extremis.

Tharpe era stato condannato a morte da una giuria che comprendeva un uomo convinto che i neri erano privi di anima.

Fu soprattutto su questa base che gli avvocati del prigioniero avevano fatto l'ultima istanza,  rilevando che il razzismo aveva svolto un ruolo "cruciale" nella sentenza.
I difensori del condannato hanno anche sostenuto che Tharpe, 59 anni, dovrebbe essere risparmiato a causa dei suoi problemi di salute mentale.

ES

Fonte: AFP

martedì 26 settembre 2017

I docenti si mobilitano per lo ius soli: «a scuola è lampante che la legge deve cambiare»

Vita
«A scuola i ragazzi sono integrati ma non sono cittadini», commenta Eraldo Affinati, tra i primi firmatari dell'appello: «ogni docente ha di fronte ogni mattina dei ragazzi immigrati e gli parla di cittadinanza. A scuola la contraddizione fra la realtà e la legge attuale è lampante».

Ce lo siamo chiesto come genitori: come fai, guardando negli occhi tuo figlio, a spiegargli che il suo amico del cuore, il suo compagno di banco, quello che fin dall’asilo ha fatto tutto con lui – asilo, scuola, compiti, calcio, pomeriggi sul divano a giocare alla Play – non è italiano come lui? 

Se lo chiedono, con le stesse parole, gli insegnanti: come posso guardare negli occhi Ibrahim, Ghada, Roel - presi come pulcini in prima elementare e visti crescere giorno dopo giorno nella tua classe - e dirgli che non sono cittadini come i loro compagni? 

Se si parte dalla realtà, da una qualsiasi classe italiana, il dibattito politico attorno allo ius soli - rimandanto per l’ennesima volta – appare per quello che è, surreale. Eraldo Affinati è insegnante e scrittore e insieme alla moglie ha fondato la scuola Penny Wirton per insegnare la lingua italiana ai migranti, con ormai 30 sedi in Italia: «ieri mi ha chiamto un mio allievo della Città dei Ragazzi, ora è laureato in giurisprudenza, ma ancora non è cittadino italiano», dice subito al telefono. 

Affinati è fra i primi firmatari dell’appello di docenti ed educatori per lo ius soli e lo ius culturae lanciato da pochi giorni insieme a Franco Lorenzoni, maestro elementare e Coordinatore della Casa-laboratorio di Cenci. È un appello di docenti ed educatori per lo ius soli e lo ius culturae, con adesioni che «aumentano di momento in momento, sono migliaia», spiega Affinati.

«Noi insegnanti guardiamo negli occhi tutti i giorni gli oltre 800mila bambini e ragazzi figli di immigrati che, pur frequentando le scuole con i compagni italiani, non sono cittadini come loro», esordisce l’appello: «Ci troviamo così nella condizione paradossale di doverli educare alla “cittadinanza e costituzione”, seguendo le Indicazioni nazionali per il curricolo - che sono legge dello stato - sapendo bene che molti di loro non avranno né cittadinanza né diritto di voto. Questo stato di cose è intollerabile. Come si può pretendere di educare alle regole della democrazia e della convivenza studenti che sono e saranno discriminati per provenienza? Per coerenza, dovremmo esentarli dalle attività che riguardano l’educazione alla cittadinanza, che è argomento trasversale, obbligatorio, e riguarda in modo diretto o indiretto tutte le discipline e le competenze che siamo chiamati a costruire con loro».

Appelli alla politica, perché non si lasci terminare la legislatura senza approvare la legge che riforma la cittadinanza, ce ne sono molti (qui ad esempio la campagna di Casa della Carità), ma «lo specifico di questo appello è che nasce dal mondo scuola e proprio nella scuola si sente la stortura e la contraddizione della situazione attuale. A scuola i ragazzi sono integrati ma non sono cittadini», commenta Affinati, «ogni docente ha di fronte ogni mattina dei ragazzi immigrati, pienamente ingrati quando sono in classe ma non cittadini. A scuola la contraddizione è lampante».

Chi ha scritto l’appello non ha pensato a una semplice raccolta di firme: insegnanti ed educatori il 3 ottobre - data dedicare alla memoria delle vittime dell’emigrazione - si appunteranno sul vestito un nastrino tricolore «per indicare la nostra volontà a considerare fin d’ora tutti i bambini e ragazzi che frequentano le nostre scuole cittadini italiani a tutti gli effetti» e in tutte le classi e le scuole dove è possibile ragioneranno «insieme alle ragazze e ragazzi del paradosso in cui ci troviamo, perché una legge ci invita “a porre le basi per l’esercizio della cittadinanza attiva”, mentre altre leggi impediscono l’accesso ad una piena cittadinanza a tanti studenti figli di immigrati che popolano le nostre scuole».

Sara De Carli

Iraq: esecuzione di massa a Nassiriya, 42 impiccati per terrorismo

AdnKronos/Aki
Baghdad - Sono 42 i militanti impiccati in un carcere di Nassiriya, nel sud dell'Iraq, perché accusati di terrorismo in relazione all'attentato condotto con autobomba il 14 settembre scorso e costato la vita ad almeno 60 persone. Lo ha reso noto il ministero della Giustizia iracheno.
L'attentato, condotto in una zona a maggioranza sciita vicino a Nassiriya contro ristoranti e posti di blocco della sicurezza, era stato rivendicato dal sedicente Stato Islamico (Is). I parenti delle vittime hanno assistito all'esecuzione di massa, ha precisato il ministero.

#TakeAKnee, giocatori di football americano e artisti in ginocchio contro la discriminazione e Trump

Lifegate
Le foto dei giocatori di football e degli artisti americani che si sono inginocchiati come forma di protesta contro la discriminazione e le violenze nei confronti dei neri negli Stati Uniti. E contro Trump. Al grido di #TakeAKnee.
Alcuni giocatori di football americano dei Kansas City chiefs si inginocchiano prima della partita contro i Los Angeles chargers il 24 settembre 2017 a Carson, in California © Sean M. Haffey/Getty Images
Durante le partite di domenica 24 settembre della National football league (Nfl), la lega più importante di football americano, molti giocatori si sono inginocchiati durante l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America in segno di protesta. Tutto è cominciato durante la scorsa stagione, quando l’allora giocatore dei San Francisco 49ers Colin Rand Kaepernick ha iniziato a inginocchiarsi o a rimanere seduto durante l’inno nazionale per protestare contro le violenze della polizia statunitense nei confronti dei neri.

Stevie Wonder che si è inginocchiato prima di iniziare la sua performance al
Global citizen festival a New York
Parallelamente, anche alcuni artisti famosi hanno abbracciato la protesta contro l’ingiustizia sociale negli Stati Uniti, ormai conosciuta come #TakeAKnee. Uno di questi è stato Stevie Wonder che si è inginocchiato prima di iniziare la sua performance al Global citizen festival a New York, sabato 23 settembre. “Mi inginocchio per l’America, per il nostro pianeta, per il nostro futuro”.

Come lui, Eddie Vedder si è inginocchiato sul palco esprimendo la sua solidarietà con i giocatori di football della Nfl.

Eddie Vedder
In questo clima sempre più teso, i cittadini americani (e non solo) stanno dicendo la loro creando nuove forme di attivismo su diverse tematiche. In questo senso, gli artisti danno la propria voce e il proprio palco per queste cause, come accadrà con Pathway to Paris, un’iniziativa centrata sui cambiamenti climatici con l’obiettivo di trasformare l’Accordo di Parigi in realtà. 

#TakeAKnee si inserisce nel quadro generale di mobilitazioni e proteste negli Stati Uniti contro la discriminazione, gli atti di violenza, razzismo e odio e per la giustizia sociale.

lunedì 25 settembre 2017

Siria: fonti non controllate: centinaia famiglie intrappolate in stadio Raqqa usate dall'Isis come scudi umani

Ansa
Beirut - Centinaia di famiglie sono intrappolate nello stadio comunale di Raqqa, roccaforte dell'Isis nel nord della Siria, assediata dalle forze curde sostenute dagli Stati Uniti. 


Secondo gli attivisti di Raqqa24, in contatto con loro parenti e colleghi rimasti nella martoriata città, i miliziani hanno ammassato "centinaia di famiglie" all'interno della struttura sportiva "per usarli come scudi umani". 

Le forze curde, affermano le fonti, tentano di raggiungere lo stadio e in queste ore la battaglia è in corso nelle vicinanze. E' impossibile verificare in maniera indipendente le notizie sul terreno.

Ambiente - Filippine - Alle multinazionali i soldi, ma veleni e rifiuti alla povera gente

Gloabalist
Nestlé, Unilever e Procter & Gamble sono tra i peggiori responsabili dell'inquinamento marino: tutto per fare sempre più profitto.

Un bambino in un corso pieno di rifiuti a Manila
La globalizzazione delle ingiustizie. Con pochi che si arricchiscono a dismisura e tantissima gente che vive nella miseria e non ha più prospettive.
Così intante periferie del mondo, compreso un paese storicamente povero come le Filippine: nella foto un bambino cammina su un vero e proprio corso pieno di rifiuti a Manila.
Greenpeace ha annunciato che i grandi marchi occidentali come Nestlé, Unilever e Procter & Gamble provocano un serio inquinamento marino attraverso l'imballaggio dei prodotti con plastica poco costosa e usa e getta.

Le Filippine, dove le multinazionali fanno man bassa, sono il terzo peggiore paese avvelenatore di oceani al mondo" dietro Cina e Indonesia.
Alle multinazionali i soldi, ai poveri veleni e rifiuti

Italia/Libia - Quei migranti respinti verso l'inferno è l'Europa si vanta del successo.

Famiglia Cristiana
Arrivano di meno sulle nostre coste, ma restano blloccati in campi che sono dei lager. L’unico “successo” di cui può vantarsi l’Europa è che non li vediamo più. Ma non possiamo far finta di non sapere che subiscono violenze e abusi di ogni genere.


L’ultimo naufragio è di questi giorni. Cento migranti morti al largo della costa libica. L’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu ha diffuso oggi la notizia che l’imbarcazione – come risulta dalle verifiche della stessa agenzia – ha vagato per una settimana nel Mediterraneo. Senza trovare soccorsi. 
Le navi delle Ong, infatti, si sono dovute ritirare. Quasi tutte. Perciò, la nuova situazione ora è: i profughi muoiono in mare, se ci arrivano. Ma ben pochi ci arrivano. La gran parte resta nelle prigioni libiche. E a loro non va molto meglio.
Medici senza Frontiere ha diffuso, giorni fa, una video testimonianza della loro presidente internazionale, Joanne Liu. In pochi minuti riferisce quello che ha visto nei centri di detenzione dei migranti in Libia. Pochi minuti che lasciano attoniti.

Joanne Liu racconta di persone ammassate in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. «Gli uomini», aggiunge, 
«ci hanno raccontato come a gruppi siano costretti a correre nudi nel cortile finché collassano esausti. Le donne vengono violentate e poi obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate. Tutte le persone che abbiamo incontrato avevano le lacrime agli occhi e continuavano ripetutamente a chiedere di uscire da lì. La loro disperazione è sconvolgente», 
conclude.

Per molto tempo, negli anni passati, si è detto e scritto che era intollerabile continuare ad assistere ai naufragi, tragicamente ripetuti, dell’affogamento di donne, bambini, ragazzi. La Marina Militare, la Guardia Costiera, le navi delle Ong avevano operato nel Mediterraneo proprio per evitare tutto ciò. Ma per ottenere questo si era creato un problema politico, interno al nostro Paese ma anche nei confronti di un’Europa sorda a farsi carico dell’accoglienza. 

Così, il nostro governo ha deciso di cambiare strategia. Prima ha messo sotto accusa le Ong del mare, poi – col pieno avallo dell’Unione Europea – ha stretto accordi con Libia e Niger, pagando profumatamente l’impegno dei due Paesi a bloccare il passaggio dei profughi.

Ora i leader europei, italiani in testa, sono soddisfatti del successo: il numero degli arrivi è in caduta libera, secondo il Viminale. Da inizio anno all’8 settembre 100.003 arrivi, il 19,71% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016 (124.555). In agosto una riduzione dell’81,6%. Nella prima settimana di settembre sono sbarcati in Italia 876 migranti, contro i 16.975 dell’anno passato.

Ma non c’è nulla di cui essere soddisfatti. Le persone che non sono arrivate in Italia sono bloccate a morire nel deserto nigerino oppure rinchiuse nelle disumane carceri libiche. Ossia nelle mani di quei trafficanti di esseri umani e aguzzini che prima li imbarcavano nei gommoni. I conti sono presto fatti: si tratta di decine di migliaia di persone.

L’unico “successo” di cui può vantarsi l’Europa è che non li vediamo più. Ma non possiamo far finta di non sapere che subiscono violenze e abusi di ogni genere.

Joanne Liu e il presidente di Msf Italia Loris De Filippi hanno scritto una lettera aperta al premier Gentiloni, che concludono così: «Presidente, permettere che esseri umani siano destinati a subire stupri, torture e schiavitù è davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare?».

Una domanda che poniamo anche noi.

Luciano Scalettari

domenica 24 settembre 2017

Filippine - Associatione “Ugnayan Bayan”: Stop alle esecuzioni extragiudiziali, sì ai diritti umani

Agenzia Fides
Ginevra - “Urge difendere la democrazia e i diritti umani nelle Filippine: la ‘guerra contro la droga’ del presidente Duterte ha generato migliaia di assassini extragiudiziali, impunità e segni incombenti di ascesa dell'autoritarismo”: lo afferma un forum di organizzazioni della società civile filippina, riunite sotto la piattaforma “Ugnayan Bayan” che, in questi giorni, in concomitanza con la 36a sessione del Consiglio per i diritti umani all'Onu, ha organizzato un presidio e una manifestazione davanti al quartier generale della Nazioni Unite a Ginevra. 



Come appreso da Fides, contemporaneamente migliaia di fedeli hanno partecipato a Manila a una solenne concelebrazione eucaristica nella chiesa di St. Agustin e hanno poi indetto un corteo di pacifica protesta al Luneta Park (nel centro di Manila) per esprimere ferma opposizione alla “politica degli omicidi” promossa dal Presidente Rodrigo Duterte nella “guerra contro la droga”, rifiutando nel contempo ogni tentativo di imporre la legge marziale nel paese. 

Del forum fanno parte diversi religiosi cattolici, impegnati per la difesa della vita, tra i quali il gesuita Albert Alejo, che spiega a Fides: “Le esecuzioni extragiudiziali sono il segno distintivo della guerra alla droga dell'amministrazione di Duterte. I morti, dal giugno 2016, sono almeno 12.000, inclusi 54 minori. Il problema della diffusione della droga è più che un problema criminale. È anche un problema di salute pubblica ed è frutto anche della povertà”.
La piattaforma della società civile filippina, condivisa da molte associazioni cristiane, chiede allora “di porre fine al'impunità: domandiamo indagini imparziali sulle uccisioni ed il perseguimento dei killer, garantendo così lo stato di diritto”. 

“Il presidente Duterte – recita il comunicato inviato a Fides – dovrebbe essere considerato responsabile per le migliaia di esecuzioni. Il suo continuo incoraggiamento pubblico alla polizia perché si elimino quanti commettono reati di droga ha alimentato la spirale degli omicidi”.

Le comunità cattoliche nelle Filippine hanno deplorato con rabbia i ripetuti omicidi di alcuni adolescenti: tra loro Kian de los Santos 17enne cattolico, Carl Angelo Arnaiz (19 anni) e Reynaldo de Guzman (14 anni), uccisi mentre erano in custodia cautelare degli agenti. 

Nel caso di Kian de los Santos, la polizia ha dichiarato che il ragazzo era un corriere della droga ucciso durante un raid anti-droga, ma la registrazione di una telecamera mostra che, ben prima di essere ucciso, era stato già arrestato e preso in custodia dalla polizia.
Le organizzazioni lanciano un allarme sulla difesa dei diritti umani nelle Filippine: “Il presidente spesso denigra i diritti umani come un ostacolo alla pace e allo sviluppo, minacciando gli attivisti per i diritti umani che criticano il suo governo”. 

Per questo, affermano, “urge proteggere e rafforzare le nostre istituzioni democratiche”, condannando ogni forma di autoritarismo e il ritorno alla “legge marziale”, che ancora è in vigore sull’isola di Mindanao. (PA)

Carcere di Trento: sventati 12 suicidi nel 2017

Corriere del Trentino
Carcere sovraffollato, carenza di organico, stress alle stelle, impegno massimo pur nelle difficoltà. 


Venerdì, giorno della ricorrenza del bicentenario della fondazione del corpo di polizia penitenziaria, nel carcere di Trento si è svolta la cerimonia celebrativa, ma nessun sindacato - sono otto in totale - ha preso parte alla manifestazione. 

"Non c'è nulla da festeggiare - hanno fatto sapere Maurizio La Porta, delegato nazionale dell'Osapp e Raffaele Ciaramella, segretario regionale - ogni giorno nelle carceri italiane si annoverano gravissimi episodi di violenza che vedono spesso soccombere i poliziotti penitenziari, sempre più soli e senza adeguati strumenti di difesa a fronte di un'amministrazione penitenziaria sorda e indifferente". 

Eppure, nonostante l'amministrazione centrale, nelle carceri tanto si sta facendo, con i mezzi e con le persone che si hanno a disposizione. Rispetto, gratitudine, considerazione, abnegazione sono stati alcuni degli encomi che il direttore del penitenziario di Spini, Valerio Pappalardo, ha rivolto alle donne e agli uomini in divisa.
"Non è un momento facile, né ci sono segnali confortanti - ha detto - stiamo lavorando in continua difficoltà. Invece di attenermi a regole e protocollo mi trovo a dover trovare soluzioni miracolistiche, prendere decisioni, spesso in modo affrettato ed equilibristico". 

La situazione, numeri alla mano, la illustra il comandante del reparto, Daniele Cutugno. Nel carcere di Trento ci sono 332 detenuti (305 uomini di cui 82 italiani e 223 stranieri e 27 donne di cui 10 italiane e 17 straniere), un numero in aumento rispetto al 2016 considerato che quest'anno ci sono stati 351 ingressi a fronte di 346 dimissioni.
"Ci dicono che il carcere di Trento rispetto ad altre strutture è un'isola felice - commenta La Porta - ma solo perché la struttura è nuova. Mancano i soldi per la manutenzione e soprattutto il personale". 
[...]

Sono pure stati sventati 12 tentati suicidi. "Ho a che fare con ragazzi che si impegnano costantemente - evidenzia il direttore - con dolcezza e tenerezza. La funzione della polizia penitenziaria è di sicurezza ma ha anche una funzione sociale di rieducazione". 

In Italia la carenza di organico è di circa ottomila agenti, l'ultimo concorso ne ha abilitati 300, a Trento ne sono stati richiesti 30, forse ne arriveranno 3 o 4, con l'aggravante che 30 agenti nel prossimo triennio andranno in pensione. "Da gennaio abbiamo proclamato uno stato di agitazione - fa sapere il segretario regionale del Sinappe Andrea Mazzarese - siamo pronti anche a scendere in piazza e a manifestare".

di Linda Pisani

Zambia: oltre 6 mila rifugiati dal Congo-Kinshasa lo scorso mese, governo teme "crisi umanitaria"

Agenzia Nova
Lusaka - Le violenze in corso nel paese hanno finora provocato la morte di migliaia di persone, con oltre un milione di altre costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. 


Situazione critica soprattutto nella provincia del Kasai, dove è in corso un’insurrezione guidata dalla milizia Kamuina Nsapu che chiede il ritiro delle forze governative dall’area a seguito dell’uccisione del suo leader, lo scorso anno. 

Attualmente, secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), lo Zambia dà ospitalità a quasi 60 mila profughi e richiedenti asilo, provenienti soprattutto da Angola, Congo, Ruanda, Burundi, Somalia e Uganda.

sabato 23 settembre 2017

Istanbul - Uccise Arouba Barakat attivista siriana e la figlia Halla giornalista

Corriere della Sera
Sono state trovate morte giovedì 21 settembre nella loro casa ad Uskudar, nella Istanbul asiatica, Arouba Barakat, 60 anni, e la figlia Halla, 22 anni, giornalista critica del regime di Assad. 


Arouba Barakat e la figlia Halla
A far scoprire i cadaveri sono stati colleghi della ragazza che, allarmati dalla sua assenza dal lavoro, hanno avvisato la polizia. Sale così a cinque il numero dei reporter siriani uccisi in Turchia negli ultimi anni mentre un sesto è sopravvissuto a ben due attacchi. 

Recentemente le due donne avevano ricevuto minacce di morte.

Halla collaborava con l’edizione araba di Huffington post, con la TV turca Trt e con Orient TV mentre la madre era un membro del Consiglio Nazionale Siriano e, negli anni ’80, si era opposta con grande coraggio al regime siriano prima a Hafez al Assad e poi a suo figlio Bachar che gli è succeduto nel 2000. Dopo l’esplosione della guerra civile siriana Orouba aveva chiesto asilo politico in Gran Bretagna, poi negli Emirati Arabi e infine si era stabilita con la figlia ad Istanbul.

Secondo gli investigatori l’omicidio risale a quattro giorni fa. Le due donne sono state strangolate e chi le ha uccise ha poi infierito sui cadaveri con un’arma da taglio. Gli assassini prima di lasciare il luogo del delitto hanno cosparso di detersivo i cadaveri per evitare che l’odore allertasse i vicini.

Su Facebook la sorella di Arouba, Shaza, ha parlato di “un assassinio compiuto dall’ingiustizia e dalla tirannia” mentre ad Istanbul la coalizione nazionale dell’opposizione siriana ha reso omaggio alle due donne e denunciato “un omicidio atroce” da “imputare al terrorismo e alla tirannia”.

Dall’inizio del conflitto siriano, nel marzo del 2011, più di tre milioni di cittadini sono fuggiti dal paese per rifugiarsi in Turchia.

Riccardo Noury e Monica Ricci Sargentini

Il "nuovo" Gambia di Adama Barrow si impegna all'ONU ad abolire la pena di morte

Blog Diritti Umani - Human Rights
Il Gambia si è impegnato ad abolire la pena di morte con la speranza che altri Stati africani seguiranno il suo esempio.


Il neo presidente del Gambia Adama Barrow
Il presidente Adama Barrow, eletto nel dicembre 2016, ha firmato un trattato ONU sull'abolizione della pena capitale dopo il suo discorso inaugurale all'assemblea generale a cui è seguito giovedì un comunicato stampa del Governo.

"Con la firma dei trattati, la nuova Gambia continua a promuovere la democrazia e dimostrare l'impegno dello Stato a proteggere la vita degli attivisti politici", ha dichiarato in documento, riferendosi a quattro altri trattati su questioni inerenti la difesa dei diritti umani, tra cui le sparizioni forzate.

Il presidente precedente Jammeh ha governato il paese con pugno di ferro per 22 anni, fino a quando non è stato costretto a cedere il potere a Barrow, e ha eseguito 9 soldati nel 2012 e minacciato di espandere un elenco di reati che prevedevano la pena capitale nel 2015 per contrastare un presunto aumento del tasso di criminalità nel paese .

Le nazioni africane occidentali francofone come il Benin, la Repubblica del Congo e la Guinea negli ultimi anno stanno facendo tutti passi necessari per porre fine alla pena di morte.


Fonte: The Indipendent

Tragedia migranti: 7 giorni alla deriva prima di affondare. Così si muore in Libia con il codice Minniti

Left
È notizia di ieri che al largo delle coste occidentali della Libia – nonostante il calo di sbarchi in Italia delle ultime settimane – si è verificato un nuovo naufragio di migranti. Stando alla Marina libica, il barcone che li trasportava era salpato venerdi 15 da Sabrata, con circa 130 persone a bordo. 


Foto di archivio di un naufragio di migranti nel mare della Libia
Alcuni resti del natante sono stati rintracciati a circa 20km a ovest di Zuara, insieme a 4 cadaveri, fra cui i resti di due donne. Di sette naufraghi salvati, uno è morto successivamente in ospedale. L’ammiraglio Ayob Amr Ghasem – portavoce della Marina libica – ha dichiarato che «oltre cento migranti sono dati per dispersi». La Guardia costiera di Zuara aveva ricevuto una richiesta di soccorso da parte di un barcone in difficoltà.
Ieri sera, la portavoce in Sud Europa dell’agenzia Onu per i rifugiati Carlotta Sami ha retwittato la nota della sede libica dell’Unhcr che fornisce un’ulteriore conferma: l’imbarcazione sarebbe restata alla deriva per almeno una settimana, senza che nessuno sia intervenuto a soccorrerla. Un «orrore devastante», ha poi commentato.
Mattia Toaldo, analista dell’European Council on Foreign Relations (Ecfr) di Londra, ha dichiarato all’Ansa che: «i flussi sono calati perché alcuni grandi trafficanti, con i quali ci si può rapportare in quanto anche esponenti delle forze di sicurezza libiche, hanno deciso che avevano più da guadagnare nel bloccare i flussi che nel continuarli».

Il ministero dell’Interno segnala 3.970 sbarchi dall’inizio del mese, a fronte dei 16.975 arrivi di settembre 2016.

Ma, in questo momento, sembrerebbero riprese le partenze. Solo nella scorsa settimana circa 3000 migranti sarebbero stati intercettati dalla Guardia costiera libica, mentre 2000 sono stati soccorsi dall’Italia.

venerdì 22 settembre 2017

Migranti - Naufraga barcone in Libia si temono quasi 100 annegati

Corriere della Sera
Secondo informazioni diffuse dalla Marina libica, l’imbarcazione sarebbe salpata venerdì da Sabrata, a ovest di Tripoli, con circa 130 persone a bordo.

Nonostante il calo sbarchi di migranti in Italia delle ultime settimane, c’è stata una nuova tragedia del mare al largo delle coste occidentali della Libia in cui si temono quasi un centinaio di vittime. 

Secondo informazioni diffuse dalla Marina libica, a naufragare è stato un barcone salpato venerdì da Sabrata, a ovest di Tripoli, con circa 130 persone a bordo. 

I resti dell’imbarcazione sono stati trovati ieri circa 20 km a ovest di Zuara assieme a quattro cadaveri, due dei quali di donne. Di sette naufraghi salvati, uno è poi morto in ospedale. 

Dopo che nelle ultime ore sono stati salvati altri 30 migranti, la stima è di circa 90 dispersi, ha precisato all’ANSA il portavoce della Marina di Tripoli, l’ammiraglio Ayob Amr Ghasem. Qualsiasi sia il bilancio definitivo, quella mediterranea centrale si conferma dunque la rotta più micidiale al mondo per i migranti, come sottolinea l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Iom) spiegando il fenomeno con la lunghezza della traversata e le pratiche del traffico di essere umani sempre più pericolose. 

Dall’inizio dell’anno, secondo dati Iom aggiornati a domenica, su questa rotta sono morte 2.373 persone: il bilancio da inizio 2014 all’agosto scorso è di circa 15 mila fra annegati e dispersi con il record dal 2000 raggiunto nell’annus horribilis 2016 (almeno 5.143 morti).

Yemen, Camera dei Deputati respinge ipotesi di embargo di armi verso l'Arabia Saudita

La Repubblica
Eppure era stato chiesto esplicitamente un provvedimento restrittivo dal Parlamento Europeo, oltre agli appelli di diverse organizzazioni della società civile. L’Arabia Saudita è alla guida della coalizione che sta alimentando un conflitto e una crisi umanitaria di estrema gravità. Con il voto di ieri non si è nemmeno stabilito di interrompere la spedizione delle bombe italiane



Ieri pomeriggio, la Camera dei Deputati ha respinto l'ipotesi di embargo relativo alla fornitura di bombe italiane verso l’Arabia Saudita e la conseguente partecipazione, seppur indiretta, dell’Italia a una guerra senza autorizzazione né mandato internazionale come quella in atto nello Yemen. Immediata è stata la reazione critica di tre organizzazioni umanitarie come Amnesty International, Rete Disarmo e Oxfam, che invece chiedevano che venissero presi provvedimenti riguardo l'esportazione di bombe nel Paese più povero del Medio Oriente, dilaniato da una guerra interna che dura dal marzo del 2015.

Le origini della guerra e il ruolo dell'Italia. Il conflitto civile cominciato esattamente il 19 marzo di due anni fa è esposo fra due fazioni che reclamano entrambe il diritto di governare il Paese, sostenute (e fomentate) dai loro rispettivi alleati esterni che sono, rispettivamente l'Iran per gli Huthi, d'ispirazione sciita, che si contrappongono alle forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede ad Aden, d'ispirazione sunnita, aiutate e protette dall'Arabia Saudita, con il favore statunitense. Le forze degli Huthi controllano la capitale Sana'a e sono alleate con le forze fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh. Anche al-Qaeda ha fatto la sua comparsa nella Penisola Arabica (AQAP) assieme agli affiliati yemeniti dello Stato Islamico (IS) che hanno eseguito attacchi, riuscendo a controllare la parte centrale del Paese e la costa. L’Italia invia da Cagliari armi fabbricate negli stabilimenti sardi della RWM Spa, di proprietà della tedesca Rheinmetall. Intanto, oltre due anni di guerra hanno causato 3 milioni di profughi e 18,8 milioni di persone (2/3 di yemeniti) dipendono dagli aiuti umanitari, perché prive di acqua, cibo, e di un tetto.
[...]

“Le bombe italiane pesano sulle coscienze”. “È incredibile come la maggioranza parlamentare, continui a essere sorda alla situazione dello Yemen, ignorando le nostre richieste di uno stop dell’invio di armi verso le parti in conflitto - dichiara Francesco Vignarca, Portavoce di Rete Disarmo - Certamente la situazione è ormai troppo complicata e sarà di difficile soluzione, ma ciò è anche colpa delle bombe italiane che da mesi vengono spedite alla volta dell’Arabia Saudita. Un macigno sulle coscienze della politica italiana”.

Marta Rizzo