L'ultima speranza per le sopravvissute alle violenze sessuali nel corso del conflitto degli anni '90. Il rapporto diffuso oggi da Amnesty International, "Abbiamo bisogno di sostegno, non di pietà....", nel quale l'organizzazione per i diritti umani denuncia le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche di quei crimini e gli ostacoli per ottenere sostegno e risarcimenti legali.
Un quarto di secolo dopo l'inizio del conflitto, oltre 20.000 sopravvissute alla violenza sessuale nella guerra della Bosnia ed Erzegovina si vedono ancora negare la giustizia. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, pubblicando il rapporto "Abbiamo bisogno di sostegno, non di pietà. L'ultima speranza di giustizia per le sopravvissute agli stupri di guerra", nel quale l'organizzazione per i diritti umani denuncia le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche di quei crimini e gli ingiustificabili ostacoli che le donne devono affrontare per ottenere il sostegno necessario e i risarcimenti legali cui hanno diritto.
La fatica di rimettere assieme i pezzi delle loro vite. "Oltre due decenni dopo la guerra, decine di migliaia di donne in Bosnia stanno ancora rimettendo insieme i pezzi delle loro vite distrutte potendo contare ben poco sul sostegno medico, psicologico ed economico di cui hanno disperatamente bisogno", ha dichiarato Gauri van Gulik, vicedirettrice di Amnesty International per l'Europa. "Via via che passano gli anni, passa anche la speranza di ottenere giustizia o ricevere il sostegno cui hanno diritto. Queste donne non riescono a dimenticare ciò che è accaduto e noi, a nostra volta, non dovremmo dimenticarlo", ha aggiunto van Gulik.
Molte vennero ridotte in schiavitù. Secondo il rapporto, frutto di ricerche condotte nel corso di due anni, una serie di ostacoli sistemici e l'assenza di volontà politica hanno condannato una generazione di sopravvissute agli stupri del 1992-1995 a una vita di stenti e penuria. Durante il conflitto migliaia di donne e ragazze vennero stuprate e sottoposte ad altre forme di violenza sessuale da soldati e appartenenti a gruppi paramilitari. Molte vennero ridotte in schiavitù, torturate e persino messe incinte a forza nei cosiddetti "campi degli stupri". Elma era al quarto mese di gravidanza quando venne portata in uno di quei campi e sottoposta ogni giorno a stupri di gruppo. "Erano ragazzi del posto, avevano tutti il passamontagna. A turno mi chiedevano se fossi in grado di riconoscere chi mi stava sopra", ha raccontato ad Amnesty International. Elma ha perso il bambino e ha riportato danni permanenti alla spina dorsale. Disoccupata, a distanza di quasi 25 anni non ha ricevuto alcun significativo aiuto finanziario da parte dello stato e ha disperato bisogno di cure mediche e assistenza psicologica.
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