Sono 130mila. Il Fondo dell’Onu per la popolazione (Unfpa) denuncia: «Tra le donne crescono i casi di mutilazioni genitali». L’Europa ha già investito 7,9 milioni per la crisi.
Uno scorcio del quartiere “siriano” della città 6 Ottobre, in Egitto ©European Union/ECHO Peter Biro |
Nel 2011, quando tutto è iniziato, Ahmar Kaddah viveva a Daara, in Siria. Studente di diritto internazionale aveva appena messo in piedi uno studio legale con un amico. «Mi avevano buttato fuori dall’università di Damasco - racconta. - Dicevano che la mia famiglia faceva parte dell’opposizione». Dopo due anni passati sotto assedio, nella città simbolo della resistenza ad Assad, l’edificio dove lavorava viene bombardato. Lui decide di scappare, si porta con sé la compagna e il loro bambino. Oggi, quattro anni dopo, Ahmar vive in Egitto. Ha visto nascere altri due figli. Si è riuscito a laureare grazie a una borsa di studio del progetto Hopes, finanziato anche dalla Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea (Echo). «Qui mi sento al sicuro», dice Ahmar, 31 anni, nel cortile della sede del British Council. «Ma non ho troppe speranze per il futuro: ho provato a cercare lavoro come avvocato ma sono siriano, mi sento discriminato. Così tiro avanti vendendo gelati».
LA CRISI NELLA CRISI
Ahmar è solo uno dei 123 mila siriani registrati dall’Unhcr nel Paese di Al Sisi. L’Egitto, con i suoi quasi 90 milioni di abitanti, ospita in tutto 211 mila richiedenti asilo e rifugiati di 63 nazionalità diverse. Ma la comunità siriana è quella più numerosa. Come Ahmar moltissimi siriani si trovano ora “bloccati” in uno Stato in crisi dove una persona su quattro vive al di sotto la soglia di povertà, una su due non lavora e la svalutazione della moneta ha portato a un raddoppio dei prezzi dei generi alimentari negli ultimi sei mesi. «La situazione economica e sociale si sta deteriorando: ci sono sempre più persone vulnerabili, anche tra i migranti», commenta Aldo Biondi, assistente tecnico della Direzione generale europea Echo. E spiega: «L’Egitto è tra i 5 più grandi Paesi al mondo ad ospitare i siriani». Ma i numeri sono più bassi è così, a differenza di altri Stati (come il Libano, la Giordania o le più vicine isole greche), non ci sono campi profughi o hotspot. «I richiedenti asilo vivono nelle grandi città, soprattutto nelle aree periferiche: Cairo, Alessandria e 6 ottobre».
ARRIVATI ATTRAVERSO IL SUDAN
A 35 chilometri dal Cairo, direzione nord-est, un’intera parte della città di Obur sembra diventata un quartiere della periferia di Damasco. È qui che la scuola della fondazione Syria Al Gad Relief si occupa dei bisogni primari della comunità siriana: educazione, integrazione e percorsi professionali. Tra i corridoi dell’istituto, frequentato per l’80 per cento da bimbi siriani, Hayat racconta la sua storia: «Mio padre è sparito cinque anni fa durante la guerra e due mesi fa è morta mia madre che era scappata con me e i miei fratelli dalla Siria». Hayat ha 18 anni. Per arrivare in Egitto ha preso un aereo verso il Sudan e da lì è risalita, illegalmente, attraversando i confini meridionali. Per mandare avanti ciò che resta della famiglia, i suoi due fratellini più piccoli e una sorella di 21 anni, ha abbandonato gli studi. «Non posso avere sogni. L’unica speranza è quella di raggiungere un mio fratello che si è rifugiato in Svezia». È a ragazze come lei che si rivolgono gli aiuti umanitari europei, 7,9 milioni di euro stanziati dal 2016 a oggi (3,4 solo nel 2017) per diversi progetti di integrazione e inserimento sociale.
LA BOMBA DEMOGRAFICA
Uno degli interlocutori della Commissione europea è l’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Al quartiere generale del Cairo si snocciolano i numeri di quella che sembra ormai diventata una bomba demografica. Con un tasso di fertilità del 3,5% per ogni donna l’Egitto cresce ogni anno di circa 2,4 milioni di abitanti. È come se, ogni sei mesi, una città grande come Milano spuntasse, andando a sommarsi ai residenti urbani concentrati nel 5% del territorio nazionale (il restante 95% desertico, non è abitato). «La questione migratoria con questi dati sembra essere passata in secondo piano», ammette Aleksandar Bodoriza, il rappresentante dell’Unfpa per l’Egitto. C’è il rischio di sottovalutarla. E di non percepire cosa stia accadendo.
“MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI”
«I nostri gruppi di studio hanno registrato un fenomeno inaspettato e, per certi aspetti, sconvolgente: le donne siriane rifugiate qui praticano alle loro figlie la mutilazione genitale», denuncia Germanie Haddad assistente del rappresentate all’Unfpa. «Non abbiamo ancora dei numeri certi ma questa pratica, nonostante sia stata criminalizzata per legge, è molto diffusa tra le egiziane e non riguarda solo le musulmane. Probabilmente è un caso di percezione della pressione sociale: le donne siriane arrivate in Egitto cercherebbero così un modo per farsi accettare dalla comunità di accoglienza». Un fenomeno inquietante che, se confermato dagli studi di gruppo in corso, diventerebbe sintomatico dell’alta vulnerabilità dei siriani in Egitto. Una comunità senza prospettive di lavoro, che ha dilapidato i suoi capitali e ora rischia di “integrarsi” con pratiche che non le sono mai appartenute culturalmente.
Davide Lessi
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