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giovedì 14 settembre 2017

Iraq. Nelle galere di Raqqa: "Ho 13 anni, combattevo per Isis". Non è un carnefice è una vittima

Corriere della Sera 
Il terribile racconto nel reportage in onda il 14 settembre su La7. "Ho avuto un addestramento militare e religioso". 


Cappuccio nero in testa che gli copre la faccia, sandali ai piedi. È seduto su un lettino ricoperto da un telo su cui, ironia della sorte, si legge Unhcr (l'agenzia Onu per i rifugiati). 

Si chiama Mohammad, ha 13 anni, si toglie il cappuccio, capelli scuri, cicatrice sulla fronte, combattente dell'Isis, ora prigioniero dei curdi siriani a Raqqa, capitale dello Stato islamico devastata dalla guerra. 

"Sognavo di diventare un grande combattente, ora passo 23 ore su 24 in cella - racconta Mohammad, figlio di un militante Isis. Ho lasciato la scuola per arruolarmi, ho avuto un addestramento religioso e militare". Ha imparato a memoria il Corano e a manovrare il fucile. "Hai visto quel video dove dei bambini come te sparano alla nuca dei prigionieri inginocchiati davanti a loro?", gli chiede Formigli. E lui, sguardo spento, risponde: "Sì, non potrei fare altrettanto. Il mio solo desiderio è rivedere la mia famiglia".


Questa è una delle tante storie raccolte da Formigli nell'inferno di Raqqa. C'è anche quella di un combattente italiano che, volto oscurato, descrive la sua avventura tra le macerie di una civiltà distrutta, palazzi sventrati, migliaia di mosche sui cadaveri in decomposizione. "Vengono negati i diritti umani fondamentali - dice il conduttore - non ho incontrato osservatori internazionali, c'è clima da occhio per occhio dente per dente: un bambino di 13 anni non è un carnefice, è una vittima".


Urla un guerrigliero: "Il califfato va annientato a qualunque costo!". E il costo dei civili morti è altissimo: "Non si può sapere quanti - spiega Formigli. Molti sono presi in ostaggio dai terroristi, altri si nascondono nelle case spianate dalle bombe americane. L'odore di morte è fortissimo e non riesco a togliermelo di dosso". Non solo guerre a "Piazzapulita", anche politica interna, "sì, però non si possono affrontare i fatti interni senza guardare all'esterno. La nostra politica è influenzata da questioni internazionali, come i migranti: noi non ci preoccupiamo del loro destino in Libia, ma solo che non sbarchino sulle nostre coste".

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