Esodo disperato verso il Bangladesh, dopo una settimana di scontri nello stato di Rakhine. Il governo respinge le accuse: "Solo azioni contro i ribelli armati"
Sono ormai 40 mila le persone che hanno abbandonato le proprie case per cercare riparo in Bangladesh, dopo una settimana di scontri nello stato di Rakhine, nel nord-ovest del Myanmar. Gli attacchi dei ribelli, condotti dall’Esercito di salvezza dei Rohingya, hanno provocato la violenta risposta dell’esercito birmano, che ha causato la morte di almeno 400 persone, in maggioranza civili musulmani della comunità Rohingya. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha lanciato un appello alla moderazione, temendo una catastrofe umanitaria.
La settimana scorsa un gruppo di ribelli ha attaccato numerose postazioni della polizia e dell’esercito, provocando diverse vittime, anche tra i civili. La rappresaglia delle forze di sicurezza birmane è stata dura e immediata. Secondo Chris Lewa, direttore dell’’Arakan Project’ per il supporto alle popolazioni locali, l’esercito birmano avrebbe circondato il villaggio di Chut Pyin mentre la popolazione stava evacuando, uccidendo almeno 130 Rohingya. In questo momento tutta l’area è interdetta ai giornalisti, e le organizzazioni umanitarie hanno sospeso le proprie attività dopo esser state accusate di supportare i ribelli: nello stato di Rakhine circa 120mila esuli, in maggioranza Rohingya, sono rimasti senza cibo né acqua nei campi di accoglienza.
Il Bangladesh, che ospita oltre 400mila rifugiati Rohingya arrivati in questi anni di persecuzioni, ha chiuso le frontiere e circa 20mila persone sono ora bloccate al confine con il Paese. Il governo del Myanmar, di cui fa parte il premio nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, rifiuta le accuse della comunità internazionale: l’esercito sta combattendo contro i ribelli armati e non sta commettendo rappresaglie contro i civili. Ma il segretario dell’Onu Guterres ha esortato le autorità del Myanmar “a garantire assistenza a tutti coloro che ne hanno bisogno”.
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