Troppi anziani: senza i migranti il continente andrà incontro al collasso demografico. E i flussi più consistenti verso l'Europa devono ancora cominciare.
Le quattro sfide
Per prima cosa non siamo mai stati così tanti sulla Terra. Anche se il ritmo di crescita è più lento rispetto al secolo scorso, agli attuali 7,5 miliardi di abitanti si aggiungeranno almeno altri due miliardi entro il 2050. In secondo luogo, la crescita della popolazione non è mai stata così differenziata sul pianeta: il declino dell’Europa e la crescita dell’Africa a cui stiamo assistendo non hanno precedenti.
Inoltre non ci sono mai stati così tanti “anziani”, gli over 60 saranno la componente in maggior crescita di questo secolo. A guidare tale processo, conseguenza dell’aumento della longevità e della diminuzione delle nascite, saranno ovviamente i paesi più sviluppati. In ultimo, ma non meno importante, non ci sono mai stati così tanti “stranieri”. La popolazione che vive in un Paese diverso da quello di origine, infatti, è stimata a circa 250 milioni.
Transizione demografica
In una prima fase del processo di “transizione demografica”, la popolazione aumenta perché la mortalità si riduce. Solo in seguito rallenta perché diminuisce la natalità. Se la contrazione della mortalità può essere favorita dal trasferimento di conoscenze mediche e pratiche sanitarie, la decisione di avere meno figli richiede invece un passaggio culturale che non è automatico e né scontato: un diverso ruolo della donna e dell’investimento sulla prole (dalla quantità alla qualità). Cambiamenti, questi ultimi, strettamente interdipendenti con il percorso di sviluppo economico e sociale. Infatti 22 paesi sono bloccati su una fecondità superiore ai 5 figli per donna: due in Asia e ben venti in Africa, con particolare concentrazione nell’area sub-sahariana.
Mobilità internazionale
Se gli squilibri demografici ed economici influiscono sulla mobilità per lavoro, l’instabilità politica, le guerre e le catastrofi ambientali agiscono sugli spostamenti di rifugiati. Ma è necessario cercar di capire bene il fenomeno. In primo luogo, solo una minoranza di chi vive in un Paese diverso dal proprio è irregolare e arriva con mezzi di fortuna (come i barconi). Inoltre l’Africa non è il continente con il maggior numero assoluto di partenze. C’è poi da sottolineare che la maggioranza degli spostamenti avviene all’interno dei continenti e che i flussi di uscita dall’Africa non vanno solo verso l’Europa, ma in modo rilevante anche verso i Paesi del Golfo, Asia e Nord America.
In ultimo, per mettere in atto la scelta di emigrare serve un certo grado di sviluppo economico e sociale per innescare aspirazioni al miglioramento, disponibilità di risorse e conoscenze necessarie. Questo significa due cose. La prima è che i maggiori flussi dall’Africa sub-sahariana li vedremo quando decolleranno le condizioni di sviluppo, le stesse che sono alla base della riduzione della fecondità. La seconda è che non esistono risposte semplici.
Gli slogan proposti dalla politica (dalla chiusura delle frontiere all’aiutiamoli a casa loro) non aiutano. Il fenomeno è complesso e richiede azioni a tutti i livelli: vera integrazione nei Paesi di arrivo, reale sviluppo nei Paesi partenza ed efficace concertazione sovranazionale sui rischi ambientali e sulle condizioni di pace e sicurezza.
Alessandro Rosina - Professore di demografia dell’università Cattolica di Milano
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