Dal 2005 il Paese africano non porta a termine un'esecuzione, applicando una moratoria de facto. Ora però la Corte Costituzionale ha bocciato il ricorso di un gruppo di condannati, che contestano l'eccessiva permanenza nel braccio della morte.
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di boia nello Zimbabwe. Nel Paese africano l’ultima esecuzione è stata portata a termine nel 2005: dopo di che le condanne capitali sono andate avanti, ma il governo di Harare ha applicato una specie di moratoria de facto.
Ora però qualcosa si muove: la Corte costituzionale ha bocciato il ricorso presentato da quattordici detenuti che volevano far commutare la condanna per il prolungamento della loro presenza nel braccio della morte, che a seconda dei casi va da quattro fino a 18 anni. La sentenza della suprema Corte ha costretto il ministero della Giustizia a valutare le candidature, anche se per ora non c’è una data indicata per l’inizio del lavoro. La gente è molto interessata, ha detto al giornale locale Newsday Virginia Mabhiza, sottosegretaria alla Giustizia.
Nel “braccio” dello Zimbabwe sono detenute 92 persone: secondo il ministero potranno essere portate a termine le esecuzioni solo per i condannati maschi fra i 18 e i 69 anni, gli altri sono protetti da una nuova norma. In realtà la moratoria de facto è considerata un passo – sia pure non ammesso pubblicamente – verso l’abolizione della pena capitale, con aperta soddisfazione dei gruppi abrogazionisti.
L’ex ministro della Giustizia, Emmerson Mnangagwa, oggi vicepresidente, aveva più volte dichiarato che sotto il suo controllo il Paese non avrebbe mai applicato la pena di morte. Anche il successore, Happyton Bonyongwe, ex capo dei servizi di intelligence, in passato si è dichiarato favorevole alla scomparsa dei boia. Per una volta, forse, l’assunzione di personale pubblico destinato a non fare niente può essere considerata una buona notizia.
Giampaolo Cadalanu
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