Diverse organizzazioni umanitarie, tra cui Medici senza frontiere, hanno documentato il respingimento di centinaia di persone con diritto di chiedere asilo. Tutti respinti dai confini europei in Croazia, Ungheria e Bulgaria. Secondo Msf, almeno sette profughi, di cui tre bambini, sono morti al confine tra Serbia e Croazia nell’ultimo anno, proprio lungo la linea dei binari tra Tovarnik e Sid. Madina riposa in pace, purtroppo non da sola.
A sei anni, uccisa sul confine dopo che la famiglia stava cercando di entrare in Europa. La guardia di frontiera li aveva respinti.
Singhiozza sulla terra ghiacciata che copre il corpo della figlia. Madina aveva solo sei anni. La sua vita se l’è portata via un treno di notte al confine tra Serbia e Croazia, mentre camminava lungo un binario sognando l’Europa. Non si dà pace Rahmat Shah Hussein, 39 anni, da due in fuga dall’Afghanistan insidiato da Isis e talebani. Era stato minacciato perché aveva lavorato per le forze americane e voleva mettere la sua famiglia al sicuro. In quattordici avevano attraversato l’Iran e la Turchia, la Bulgaria infine la Serbia. Per quasi un anno sono rimasti intrappolati in quel limbo dove sono si trovano intrappolati altri settemila migranti da quando — nel marzo del 2016 — l’Europa ha chiuso le sue porte a quanti erano in marcia dai Balcani.
Gli Hussein erano pronti per l’«ultimo miglio». Ma per passare il confine si sono dovuti dividere: i soldi per avvicinarsi alla frontiera croata in taxi non bastavano per tutti. E hanno iniziato a farsi strada prima la moglie con Madina e altri cinque figli. Oltrepassato un campo con filo spinato — racconta la madre Muslima all’Agence France Presse — sono arrivati in Croazia, stato dell’Unione dove contavano di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.
Dopo ore di cammino invece le guardie di frontiera li hanno bloccati a Tovarnik, cittadina al confine con la Serbia, e li hanno rispediti indietro. A nulla sono servite le suppliche della madre, che aveva implorato di poter almeno ripartire con la luce del giorno, per far riposare i suoi bambini, quattro sotto i dieci anni. Ma la polizia croata è stata irremovibile: li ha scortati alla frontiera, con l’indicazione di seguire i binari della ferrovia, «senza nemmeno avvisarci che di lì a poco sarebbe passato un treno» ha raccontato la donna. Stremati, al freddo e al buio pesto, Muslima e i suoi figli hanno ripreso il cammino. Fino a quel rumore sordo che si è portato via la sua bambina.
Madina è stata investita vicino a Sid, ultima cittadina in Serbia prima del confine croato. È il fratello Rashid a trovare la sorellina, sbalzata di qualche metro e coperta di sangue. Sconvolti, i familiari sono andati a chiedere aiuto alle stesse guardie croate di frontiera che li avevano respinti. Sono rimasti bloccati nella foresta per un’ora, con gli agenti che intimavano loro di aspettare la polizia serba. Nel frattempo la piccola è stata portata via da un’ambulanza: sua madre avrebbe voluto salire a bordo ma le è stato impedito. E nemmeno è riuscita a sapere dove veniva portata. I familiari vengono riuniti a Belgrado ed è qui che, due giorni dopo l’incidente, apprendono che Madina è morta.
L’indomani all’alba sono stati portati con un imam al cimitero cristiano ortodosso di Sid. «Sotterrateci con lei» ricorda di aver detto il padre, contrario a questa per la sepoltura fatta quasi di nascosto. La famiglia aveva chiesto che Madina fosse sepolta nella capitale, Belgrado, dove è presente una comunità afghana. Madina se n’è andata così, respinta illegalmente da un Paese dell’Unione europea. Ma la autorità croate hanno smentito questa ricostruzione, negano che la piccola e la sua famiglia abbiano messo piede nel loro Paese prima dell’incidente e tanto meno che le guardie di frontiera l’abbiano respinta e indirizzata verso i binari.
Gli Hussein erano pronti per l’«ultimo miglio». Ma per passare il confine si sono dovuti dividere: i soldi per avvicinarsi alla frontiera croata in taxi non bastavano per tutti. E hanno iniziato a farsi strada prima la moglie con Madina e altri cinque figli. Oltrepassato un campo con filo spinato — racconta la madre Muslima all’Agence France Presse — sono arrivati in Croazia, stato dell’Unione dove contavano di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.
Dopo ore di cammino invece le guardie di frontiera li hanno bloccati a Tovarnik, cittadina al confine con la Serbia, e li hanno rispediti indietro. A nulla sono servite le suppliche della madre, che aveva implorato di poter almeno ripartire con la luce del giorno, per far riposare i suoi bambini, quattro sotto i dieci anni. Ma la polizia croata è stata irremovibile: li ha scortati alla frontiera, con l’indicazione di seguire i binari della ferrovia, «senza nemmeno avvisarci che di lì a poco sarebbe passato un treno» ha raccontato la donna. Stremati, al freddo e al buio pesto, Muslima e i suoi figli hanno ripreso il cammino. Fino a quel rumore sordo che si è portato via la sua bambina.
Madina è stata investita vicino a Sid, ultima cittadina in Serbia prima del confine croato. È il fratello Rashid a trovare la sorellina, sbalzata di qualche metro e coperta di sangue. Sconvolti, i familiari sono andati a chiedere aiuto alle stesse guardie croate di frontiera che li avevano respinti. Sono rimasti bloccati nella foresta per un’ora, con gli agenti che intimavano loro di aspettare la polizia serba. Nel frattempo la piccola è stata portata via da un’ambulanza: sua madre avrebbe voluto salire a bordo ma le è stato impedito. E nemmeno è riuscita a sapere dove veniva portata. I familiari vengono riuniti a Belgrado ed è qui che, due giorni dopo l’incidente, apprendono che Madina è morta.
L’indomani all’alba sono stati portati con un imam al cimitero cristiano ortodosso di Sid. «Sotterrateci con lei» ricorda di aver detto il padre, contrario a questa per la sepoltura fatta quasi di nascosto. La famiglia aveva chiesto che Madina fosse sepolta nella capitale, Belgrado, dove è presente una comunità afghana. Madina se n’è andata così, respinta illegalmente da un Paese dell’Unione europea. Ma la autorità croate hanno smentito questa ricostruzione, negano che la piccola e la sua famiglia abbiano messo piede nel loro Paese prima dell’incidente e tanto meno che le guardie di frontiera l’abbiano respinta e indirizzata verso i binari.
Alessandra Muglia
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