Nuove violazioni dei diritti umani da parte dell’Arabia Saudita. Gli esperti indipendenti dell’ONU, incaricati di monitorare il rispetto dei diritti umani nel mondo, hanno chiesto a Riyad di porre fine alla repressione degli attivisti e a rilasciare dozzine di detenuti in carcere dallo scorso settembre in modo che possano esercitare pacificamente i loro diritti civili e politici.
A renderlo noto è Middle East Eye. Secondo gli esperti dell’ONU, sarebbero più di 60 i religiosi, scrittori, giornalisti, accademici e attivisti in carcere per motivi politici.
“Stiamo assistendo alla persecuzione dei difensori dei diritti umani colpevoli di aver esercitato pacificamente i loro diritti in nome della libertà di espressione, di associazione e credo”, sottolineano i cinque esperti indipendenti, che denunciano “un modello preoccupante di arresti e detenzioni arbitrarie diffuse e sistematiche attraverso l’uso, da parte del regno, delle leggi in materia di antiterrorismo e sicurezza”.
L’Onu: “Riyad pratica arresti arbitrari”
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, tra i detenuti ci sarebbe anche il predicatore Salman al-Ouda, che gli esperti dell’ONU definiscono un “riformista”, nonché “una figura religiosa che ha sollecitato un maggiore rispetto per i diritti umani nell’ambito della Shari’a”. Salman al-Ouda è un personaggio molto noto, membro dell’International Union for Muslim Scholars, nonché direttore dell’edizione araba del sito web Islam Today.
La notizia dell’arresto del religioso è apparsa anche sul Times lo scorso settembre: al-Ouda avrebbe esortato il governo saudita, attraverso un tweet, a sanare la spaccatura con il Qatar e per questo motivo sarebbe stato incarcerato dalle autorità. Tra le personalità finite in carcere, secondo l’ONU, ci sarebbero anche lo scrittore e accademico Abdullah al-Maliki, gli imprenditori Essam al-Zamel, e Abdulaziz Al Shubaily e Issa bin Hamid al-Hamid, dell’Associazione saudita dei diritti civili e politici (ACPRA). “Nonostante sia stato eletto come membro del Consiglio per i diritti umani alla fine del 2016, l’Arabia Saudita continua a praticare arresti arbitrari dei difensori dei diritti umani e dei critici del governo”, hanno sottolineato gli esperti delle Nazioni Unite.
“Difensori dei diritti umani in prigione”
Samah Hadid, direttrice delle campagne umanitarie per Amnesty International in Medio Oriente, aveva definito l’ondata di arresti iniziata in settembre su indicazione del principe ereditario Moḥammad bin Salmān, “un momento oscuro per la libertà di espressione in Arabia Saudita”. La comunità dei diritti umani impegnata a Riyad, ha sottolineato, “ha già pesantemente sofferto per colpa delle autorità, e ora con questi ultimi arresti quasi tutti i più importanti difensori dei diritti umani sono ora in prigione per accuse di terrorismo fasulle. Questi pacifici attivisti dovrebbero essere applauditi per il loro coraggio nel difendere i diritti umani, non rastrellati e rinchiusi”. Nonostante la recente presa di posizione degli esperti delle Nazioni Unite, raramente l’ONU ha criticato con fermezza il regno wahabita per la sua condotta. Tutt’altro.
Lo scorso aprile l’Arabia Saudita ha ottenuto un posto tra i 45 membri che costituiscono la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Uncsw), l’organismo ONU più impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere. Inoltre, nel giugno 2015, l’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è stato nominato per un periodo presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc).
Nomine frutto di compromessi politici che hanno suscitato molte polemiche e indignazione per un paese ai primi posti per il numero di pene capitali imposte, processi sommari e limitazione della libertà d’espressione ma che rimane un grande alleato geopolitico dell’Occidente e degli Stati Uniti.
“Stiamo assistendo alla persecuzione dei difensori dei diritti umani colpevoli di aver esercitato pacificamente i loro diritti in nome della libertà di espressione, di associazione e credo”, sottolineano i cinque esperti indipendenti, che denunciano “un modello preoccupante di arresti e detenzioni arbitrarie diffuse e sistematiche attraverso l’uso, da parte del regno, delle leggi in materia di antiterrorismo e sicurezza”.
L’Onu: “Riyad pratica arresti arbitrari”
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, tra i detenuti ci sarebbe anche il predicatore Salman al-Ouda, che gli esperti dell’ONU definiscono un “riformista”, nonché “una figura religiosa che ha sollecitato un maggiore rispetto per i diritti umani nell’ambito della Shari’a”. Salman al-Ouda è un personaggio molto noto, membro dell’International Union for Muslim Scholars, nonché direttore dell’edizione araba del sito web Islam Today.
La notizia dell’arresto del religioso è apparsa anche sul Times lo scorso settembre: al-Ouda avrebbe esortato il governo saudita, attraverso un tweet, a sanare la spaccatura con il Qatar e per questo motivo sarebbe stato incarcerato dalle autorità. Tra le personalità finite in carcere, secondo l’ONU, ci sarebbero anche lo scrittore e accademico Abdullah al-Maliki, gli imprenditori Essam al-Zamel, e Abdulaziz Al Shubaily e Issa bin Hamid al-Hamid, dell’Associazione saudita dei diritti civili e politici (ACPRA). “Nonostante sia stato eletto come membro del Consiglio per i diritti umani alla fine del 2016, l’Arabia Saudita continua a praticare arresti arbitrari dei difensori dei diritti umani e dei critici del governo”, hanno sottolineato gli esperti delle Nazioni Unite.
“Difensori dei diritti umani in prigione”
Samah Hadid, direttrice delle campagne umanitarie per Amnesty International in Medio Oriente, aveva definito l’ondata di arresti iniziata in settembre su indicazione del principe ereditario Moḥammad bin Salmān, “un momento oscuro per la libertà di espressione in Arabia Saudita”. La comunità dei diritti umani impegnata a Riyad, ha sottolineato, “ha già pesantemente sofferto per colpa delle autorità, e ora con questi ultimi arresti quasi tutti i più importanti difensori dei diritti umani sono ora in prigione per accuse di terrorismo fasulle. Questi pacifici attivisti dovrebbero essere applauditi per il loro coraggio nel difendere i diritti umani, non rastrellati e rinchiusi”. Nonostante la recente presa di posizione degli esperti delle Nazioni Unite, raramente l’ONU ha criticato con fermezza il regno wahabita per la sua condotta. Tutt’altro.
Lo scorso aprile l’Arabia Saudita ha ottenuto un posto tra i 45 membri che costituiscono la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Uncsw), l’organismo ONU più impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere. Inoltre, nel giugno 2015, l’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è stato nominato per un periodo presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc).
Nomine frutto di compromessi politici che hanno suscitato molte polemiche e indignazione per un paese ai primi posti per il numero di pene capitali imposte, processi sommari e limitazione della libertà d’espressione ma che rimane un grande alleato geopolitico dell’Occidente e degli Stati Uniti.
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