Pronti a lavorare su rispetto diritti umani, ma i Paesi a Sud devono fare la loro parte.
Ahmed Maetig sfata un tabù e si reca in visita ad un centro di detenzione di migranti clandestini a Tripoli, diventando il primo leader di un governo libico a varcare la soglia di un un centro di detenzione.
L’iniziativa segna - secondo quanto riferito dallo stesso vice di Fayez al-Sarraj - una svolta nell’approccio alla piaga del traffico illegale di essere umani da parte del Consiglio presidenziale. Da una parte lotta dura per contrastare il fenomeno, dall’altra maggiori garanzie di rispetto dei diritti umani per quelle che sono le prime vittime di questo fenomeno.
«E’ chiaro che il nome della Libia è sempre di più al centro del dibattito sulle questioni riguardanti la migrazione interna e internazionale, ed è divenuta bersaglio sempre più frequente da parte della comunità internazionale per i suoi fallimenti nell’individuare soluzioni e risposte al problema del traffico illegale di esseri umani. - spiega Maetig in una nota divulgata in occasione della sua visita - L’immigrazione clandestina non è il risultato di fatti interni al nostro Paese, sebbene la crisi libica abbia in qualche modo esacerbato il fenomeno».
Il numero due del Consiglio presidenziale ha trascorso del tempo nel centro tripolitino parlando con alcuni migranti, sentendo le loro storie e stringendo loro le mani in una sorta di impegno da parte delle autorità a garantire condizioni più umane nei centri di accoglienza, spesso definiti lager da osservatori internazionali e associazioni umanitarie.
Maetig ha inoltre sottolineato come la Libia sia ben cosciente dei rischi e delle sfide che l’immigrazione clandestina pone nei confronti dell’Italia e dell’Unione europea, «così come la Libia è la prima vittima di questa piaga». Ma tiene precisare che l’immigrazione clandestina in Libia «non è un fenomeno da noi generato, ma a noi imposto, e che ha origini al di fuori, in particolare al di là dei nostri confini meridionali».
Mette però in guardia dinanzi ai rischi relativi a soluzioni parziali e pericolose in termini di sicurezza: «Tripoli ha dimostrato tutta la sua disponibilità e collaborazione nel sostenere iniziative regionali e internazionali per risolvere il problema dal momento, ma non può certo lavorare da sola, e rifiuta categoricamente qualsiasi soluzione che possa mettere a rischio al sicurezza del Paese e alla sua sovranità nazionale».
Quindi l’affondo nei confronti delle istituzioni internazionali e delle Organizzazioni non governative: «Occorre notare che il sostegno internazionale è sproporzionato rispetto alle reali dimensioni del problema migrazione. Le istituzioni internazionali dovrebbero ascoltare di più le autorità libiche sulle questioni riguardanti il traffico di esseri umani, e non basarsi solo sui rapporti delle organizzazioni internazionali che sono spesso faziose ed esecrabili. Specie per quel che riguarda la violazioni di diritti umani, che viene talvolta utilizzata come mezzo da parte di tali organizzazioni per richiedere più fondi».
Il vicepresidente rilancia spiegando che la migrazione illegale è una crisi umanitaria che richiede soluzioni reali, comprese misure per combattere le organizzazioni criminali che fanno cassa con i migranti. Infine l’affondo ai Paesi confinanti, in particolare il Niger: «Serve la cooperazione delle Nazioni a noi vicine, in particolare quelle del Sud, che hanno l’obbligo di contrastare i flussi di migranti già nei loro territori e che richiede meccanismi che possano agevolare il sostegno di contrasto al fenomeno da parte della Libia e delle istituzioni internazionali».
Maetig plaude infine allo sforzo europeo e italiano di adoperarsi con forze militari nel Sahel, la regione considerata il serbatoio della migrazione clandestina: «La Libia non può sostenere da sola il carico della cooperazione con la missione Sofia, perché questo non ha fatto altro che esacerbare la crisi della migrazione clandestina a partire proprio dalla mancanza di cooperazione con dei Paesi partner a mettere in sicurezza i confini meridionali. Ovvero la prima porta di accesso di quel traffico di esseri umani che attecchisce da Paesi del cosiddetto serbatoio salesiano».
Francesco Semprini
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