Ieri è stato un giorno triste per i richiedenti asilo afgani che vivono in Norvegia e per i difensori dei diritti umani: i parlamentari di uno dei paesi più ricchi al mondo hanno mostrato di aver perso compassione.
Il parlamento di Oslo ha infatti respinto una proposta di sospensione temporanea dei rimpatri dei richiedenti asilo afgani e un’altra, persino più modesta, che aumentava il numero dei criteri da soddisfare prima di decidere di rinviare una persona nel paese dal quale era fuggita. Se approvata, questa proposta avrebbe avvicinato la procedura norvegese agli standard internazionali.
Invece, siano nel pieno di una clamorosa violazione dei diritti umani. L’Afghanistan rimane un paese estremamente pericoloso. Il numero delle vittime civili ha raggiunto livelli record nel 2017. Neanche un mese fa una bomba nel centro di Kabul ha ucciso almeno 40 persone in quello che è apparso un attacco deliberato contro gli studenti.
Nonostante gli attentati, i rapimenti e le varie persecuzioni, la Norvegia, sia in rapporto alla sua popolazione che in termini assoluti, rimpatria più afgani di ogni altro paese europeo. Secondo le autorità di Kabul, il 32 per cento (97 su 304) degli afgani rimpatriati nei primi quattro mesi del 2017 proveniva dalla Norvegia.
Secondo Eurostat, la Norvegia ha rimpatriato in Afghanistan 760 persone nel 2016 e 172 nei primi sei mesi del 2017.
In un rapporto dello scorso anno Amnesty International ha denunciato casi di afgani rimpatriati dai paesi europei, Norvegia compresa, che sono stati uccisi o feriti in attentati o che vivono nel costante timore di subire persecuzioni.
Tra gli afgani su cui la decisione del Parlamento rischia di produrre conseguenze c’è Taibeh Abbasi (in primo piano nella foto), una ragazza di 18 anni residente nella città di Trondheim, il cui caso ha dato vita a grandi proteste studentesche. Taibeh è nata in Iran e non ha mai visto l’Afghanistan, dove ora ha il terrore di essere rinviata.
Lo scorso ottobre, durante una manifestazione in suo favore, ha preso la parola per la prima volta in pubblico:
“Non c’è un futuro per me e i miei fratelli in Afghanistan. Subiremo discriminazione e proveremo sulla nostra pelle cosa vuol dire essere una minoranza a rischio, soprattutto io che sono una donna. I miei sogni di terminare gli studi e avere una professione saranno distrutti”.
Riccardo Noury
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