Solo in gennaio, quasi 50 mila venezuelani sono entrati nel Paese per restarvi o per proseguire la ricerca di una vita degna, mentre in Venezuela si preparano elezioni che potrebbero aggravare ulteriormente la situazione. La Chiesa e lo Stato colombiano alla prova della solidarietà.
Era dai tempi della chiusura delle frontiere da parte del Venezuela e delle deportazioni di colombiani, nell’agosto 2015, che non si respirava quest‘aria tesa a Cúcuta. Ogni giorno oltre tremila persone attraversano a piedi il ponte internazionale Simón Bolívar da San Antonio del Táchira a Cúcuta, in fuga da un Venezuela ormai invivibile.
La città è invasa da persone di ogni età. In 900 dormivano sotto le intemperie in un campo sportivo senza bagni (sostituiti dal canale Bogotà, nelle vicinanze), ribattezzato “Hotel Caracas”, fino a quando sono stati dispersi da un attacco con bombe incendiarie, da un gruppetto di giovani del quartiere. Il vicinato non li vuole. Dicono che, da quando sono arrivati, sono aumentate la delinquenza e la droga.
Da subito la Chiesa ha organizzato l’assistenza degli emigrati. Oggi sono 8 i refettori parrocchiali di emergenza, oltre alla casa diocesana Divina Provvidenza, che offrono un totale di 1.600 piatti caldi gratuiti al giorno, grazie all’impegno di centinaia di persone che cucinano, servono, donano o procurano derrate. «Chi arriva riceve subito una tazza di caffè e del pane, perché viene da un viaggio di 8-10 ore», ha spiegato il vescovo locale, mons. Víctor Manuel Ochoa alla stampa. «I bambini e le donne incinte hanno la priorità. Nessuno di loro va via senza aver mangiato. Anche quando il cibo e gli alimenti sono finiti, ci si industria per ottenerne ancora».
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Secondo le autorità, sono circa 660 mila i venezuelani entrati in Colombia per stabilirvisi, negli ultimi 18 mesi. Senza contare quelli che continuano il viaggio verso l’Ecuador, il Perù o il Cile, i migranti giornalieri che cercano beni di prima necessità e i colombiani che ritornano dall’emigrazione delle decadi passate. Tanti passano attravero i 280 punti di frontiera clandestini. Alimenti, medicine e cure mediche sono le necessità più urgenti, ha spiegato mons. Ochoa. Il vescovo ha ribadito che la colletta sarà anche un’occasione per rispondere con gratitudine alla solidarietà di venezuelani negli anni in cui erano i colombiani gli immigranti.
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