Ventimila saranno rimandati in Ruanda. In un clima di crescente radicalizzazione politica è cominciata ieri in Israele la campagna di graduale espulsione dei migranti africani, per lo più eritrei e sudanesi.
Entro due mesi circa 20mila degli attuali 40mila migranti dovranno decidere se accettare di lasciare Israele (con un incentivo di 3.500 dollari a testa) per raggiungere "un Paese terzo" - il Ruanda, secondo la stampa - oppure rischiare il carcere a oltranza.
Nelle ultime settimane in Israele si avverte un disagio crescente. Contro le imminenti espulsioni si sono espressi intellettuali, artisti, medici, sopravvissuti alla Shoah e anche piloti che preannunciano il rifiuto di guidare aerei con migranti che fossero ricondotti in Africa contro la loro volontà. Alcuni kibbutzim progettano di dare ospitalità a chi fosse colpito da ordini di espulsione e ricercato dalla polizia. Ieri il premier Benyamin Netanyahu ha però ribadito che non si farà intimidire da questi barlumi di disobbedienza civile.
Dietro le proteste, ha sostenuto, ci sono l'uomo d'affari George Soros e Ong straniere. La campagna di "allontanamento" da Israele dei migranti ha preso ufficialmente il via ieri negli uffici di Tel Aviv del ministero dell'immigrazione con la consegna a circa 200 eritrei di ingiunzioni a lasciare il Paese entro due mesi. Quanti sono originari del Darfur per ora potranno restare, ma il loro futuro resta incerto. In questa fase non saranno espulsi nuclei familiari e persone gravemente malate. "Nel Paese Terzo" con cui Israele dice di aver firmato accordi - è stato detto ai migranti - potranno stabilirsi e riacquistare una esistenza normale.
Secondo informazioni raccolte invece da alcune Ong il loro futuro in Ruanda sarebbe gravido di incognite. "Non possiamo mandarli alla loro morte" si legge in annunci di protesta pubblicati a pagamento sulla stampa. Su Facebook Netanyahu ha replicato: "Non l'avrete vinta. Oggi abbiamo iniziato la campagna di allontanamento degli infiltrati illegali, così come fanno altri Paesi moderni fra cui gli Stati Uniti. Così come abbiamo bloccato le infiltrazioni grazie a un barriera che ho fatto costruire lungo il confine con il Sinai, così manterrò la mia promessa di far uscire gli infiltrati".
Una promessa fatta in particolare agli abitanti dei rioni poveri di Tel Aviv - dove il suo partito Likud è radicato - che hanno molto sofferto in questi anni per la presenza dei migranti in aree già afflitte da problemi di povertà e di crimine. Mentre il duello politico fra destra e sinistra sulla sorte dei migranti si fa sempre più aspro, scendono in campo gli imprenditori. Anch'essi si schierano contro le espulsioni: perché, sostengono, la improvvisa partenza di una manodopera rivelatasi di importanza critica per il funzionamento di alberghi, ristoranti e ospizi rischierebbe di aver ripercussioni nocive per la economia del Paese.
Nelle ultime settimane in Israele si avverte un disagio crescente. Contro le imminenti espulsioni si sono espressi intellettuali, artisti, medici, sopravvissuti alla Shoah e anche piloti che preannunciano il rifiuto di guidare aerei con migranti che fossero ricondotti in Africa contro la loro volontà. Alcuni kibbutzim progettano di dare ospitalità a chi fosse colpito da ordini di espulsione e ricercato dalla polizia. Ieri il premier Benyamin Netanyahu ha però ribadito che non si farà intimidire da questi barlumi di disobbedienza civile.
Dietro le proteste, ha sostenuto, ci sono l'uomo d'affari George Soros e Ong straniere. La campagna di "allontanamento" da Israele dei migranti ha preso ufficialmente il via ieri negli uffici di Tel Aviv del ministero dell'immigrazione con la consegna a circa 200 eritrei di ingiunzioni a lasciare il Paese entro due mesi. Quanti sono originari del Darfur per ora potranno restare, ma il loro futuro resta incerto. In questa fase non saranno espulsi nuclei familiari e persone gravemente malate. "Nel Paese Terzo" con cui Israele dice di aver firmato accordi - è stato detto ai migranti - potranno stabilirsi e riacquistare una esistenza normale.
Secondo informazioni raccolte invece da alcune Ong il loro futuro in Ruanda sarebbe gravido di incognite. "Non possiamo mandarli alla loro morte" si legge in annunci di protesta pubblicati a pagamento sulla stampa. Su Facebook Netanyahu ha replicato: "Non l'avrete vinta. Oggi abbiamo iniziato la campagna di allontanamento degli infiltrati illegali, così come fanno altri Paesi moderni fra cui gli Stati Uniti. Così come abbiamo bloccato le infiltrazioni grazie a un barriera che ho fatto costruire lungo il confine con il Sinai, così manterrò la mia promessa di far uscire gli infiltrati".
Una promessa fatta in particolare agli abitanti dei rioni poveri di Tel Aviv - dove il suo partito Likud è radicato - che hanno molto sofferto in questi anni per la presenza dei migranti in aree già afflitte da problemi di povertà e di crimine. Mentre il duello politico fra destra e sinistra sulla sorte dei migranti si fa sempre più aspro, scendono in campo gli imprenditori. Anch'essi si schierano contro le espulsioni: perché, sostengono, la improvvisa partenza di una manodopera rivelatasi di importanza critica per il funzionamento di alberghi, ristoranti e ospizi rischierebbe di aver ripercussioni nocive per la economia del Paese.
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