Nel pomeriggio del 27 febbraio, Thomas Reese - gesuita, attivista, ex direttore del magazine America e columnist per il Religion News Service - è stato arrestato nella cosiddetta “Capitol Rotunda” di Washington D.C., il cuore della politica statunitense.
Insieme a dozzine di altri, tra cui anche varie personalità di spicco della Chiesa americana, Reese stava manifestando, in un atto di disobbedienza civile pacifica, a favore dei Dreamers, i giovani immigrati giunti illegalmente negli Stati Uniti da bambini e tutelati dal DACA Program (Deferred Action for Childhood Arrivals) durante l’amministrazione Obama, che il presidente Donald Trump minaccia di eliminare. Il programma protegge e include circa 780mila persone.
Come Reese stesso ha preannunciato sul National Catholic Reporter, il giorno prima della protesta, «ho intenzione di farmi arrestare presso Capitol Hill, durante il National Catholic Day of Action a fianco dei Dreamers. Il mio arresto vuole essere un’espressione di solidarietà nei confronti dei Dreamers che rischiano anch’essi l’arresto e la deportazione se il Congresso o il Presidente non intervengono per preservare il loro status legale […]. Questo sarà il mio primo arresto[…]. Allo stesso tempo, mi rendo conto che il mio arresto non sarà in alcun modo equiparabile a quelli subiti dagli immigrati, i quali non saranno rilasciati nel giro di qualche ora e dietro pagamento di una lieve multa. Se queste persone non saranno protette dal DACA o da una nuova legislazione, il loro arresto arrecherà danni devastanti e permanenti alle loro vite».
Reese, che è stato rilasciato, con gli altri, dopo un fermo di circa due ore, ha anche documentato il proprio arresto su Twitter.
Chiara d'Agostino
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