"Nello stato di Rakhine è in corso un'appropriazione delle terre da parte dell'esercito di Myanmar su vasta scala e la costruzione di nuove basi destinate a ospitare quelle stesse forze di sicurezza che hanno commesso crimini contro l'umanità contro i Rohingya".
Questa la denuncia contenuta in un rapporto diffuso ieri da Amnesty International: da gennaio la militarizzazione delle terre una volta appartenenti ai Rohingya va avanti a ritmo incalzante, a colpi di bulldozer: si radono al suolo i resti dei villaggi dati alle fiamme ad agosto e a settembre, si elimina anche la vegetazione circostante e si costruiscono strade e infrastrutture a uso militare. L'analisi delle immagini satellitari effettuata da Amnesty International mostra come da gennaio nello stato di Rakhine siano state costruite almeno tre nuove basi: due nel distretto di Maungdaw e una in quello di Buthidaung.
In questo modo, il tanto annunciato ritorno volontario e in condizioni di sicurezza e dignità dei 670.000 Rohingya rifugiatisi in Bangladesh diventa una prospettiva ancora più lontana. Le autorità di Myanmar stanno creando le condizioni perché non tornino più, che era l'obiettivo finale della campagna di pulizia etnica avviata la scorsa estate. Non solo bulldozer, non solo militarizzazione.
In questo modo, il tanto annunciato ritorno volontario e in condizioni di sicurezza e dignità dei 670.000 Rohingya rifugiatisi in Bangladesh diventa una prospettiva ancora più lontana. Le autorità di Myanmar stanno creando le condizioni perché non tornino più, che era l'obiettivo finale della campagna di pulizia etnica avviata la scorsa estate. Non solo bulldozer, non solo militarizzazione.
Nello stato di Rakhine è in corso anche una campagna di "sostituzione etnica", per riprendere un'espressione tanto e impropriamente usata in Italia: sui terreni agricoli dove sorgevano i villaggi Rohingya dati alle fiamme, sono stati edificati nuovi villaggi in cui vivono ora popolazioni di altri gruppi etnici. Per blandire la comunità e i paesi donatori, che dovrebbero decidere una volta per tutte se è accettabile assistere un sistema basato sull'apartheid, le autorità di Myanmar fanno però vedere di essere disponibili a collaborare a un ritorno ancora del tutto possibile.
Tuttavia, dalle immagini dal satellite si vede come i nuovi centri di accoglienza - destinati ad "accogliere" i Rohingya di ritorno dal Bangladesh - siano circondati da recinzioni e situati nei pressi di zone pesantemente militarizzate. Nella parte più alta di un villaggio Rohingya dato alle fiamme nel distretto di Maungdaw, in mezzo a strutture rafforzate di sicurezza, si trova un nuovo centro di transito per alloggiare provvisoriamente i rifugiati tornati dal Bangladesh. In centri del genere si trovano già decine di migliaia di Rohingya costretti a lasciare le loro terre durante le ondate di violenza del 2012, oggi confinati in squallidi centri per sfollati, vere e proprie prigioni a cielo aperto.
di Riccardo Noury
Tuttavia, dalle immagini dal satellite si vede come i nuovi centri di accoglienza - destinati ad "accogliere" i Rohingya di ritorno dal Bangladesh - siano circondati da recinzioni e situati nei pressi di zone pesantemente militarizzate. Nella parte più alta di un villaggio Rohingya dato alle fiamme nel distretto di Maungdaw, in mezzo a strutture rafforzate di sicurezza, si trova un nuovo centro di transito per alloggiare provvisoriamente i rifugiati tornati dal Bangladesh. In centri del genere si trovano già decine di migliaia di Rohingya costretti a lasciare le loro terre durante le ondate di violenza del 2012, oggi confinati in squallidi centri per sfollati, vere e proprie prigioni a cielo aperto.
di Riccardo Noury
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