Vita
Una durissima lettera aperta che chiede l'intervento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale nei confronti del nostro Paese per il Codice di condotta delle ONG italiane che «favorisce gravi violazioni dei diritti umani o addirittura crimini contro l'umanità»
«La crescente fermezza con cui l'Italia espone le persone a gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l'umanità, e riduce la capacità SAR nel Mediterraneo, richiede un'azione immediata della comunità internazionale». È questo in estrema sintesi il contenuto di un durissimo appello firmato da ventinove accademici europei circa il caso Open Arms.
Il testo prima riassume brevemente l'accaduto ricordando come «le autorità italiane hanno sequestrato la nave di salvataggio della ONG spagnola "Open Arms" e hanno avviato indagini penali contro il coordinatore della ONG e il capitano della barca. Open Arms si è rifiutata di consegnare alla guardia costiera libica 218 persone che aveva salvato in acque internazionali, mentre l'Italia afferma che fosse obbligata a farlo, sulla base del Codice di condotta delle ONG italiane. L'ONG per questo è perseguita a causa della partecipazione per traffico di esseri umani (Le Monde, 22 marzo 2018)».
I docenti firmatari ricordano che «secondo il diritto internazionale i comandanti delle navi hanno l'obbligo di assistere le persone in difficoltà in mare e di portarle in un luogo sicuro. Il capitano di Open Arms ha rispettato questo requisito riscattando le 218 persone e successivamente rifiutandosi di consegnarle alla guardia costiera libica. Sulla base di ben documentati rapporti sui diritti umani, il capitano sapeva che consegnarle alla guardia costiera libica avrebbe implicato il rischio reale che le 218 persone sarebbero state sottoposte a torture, trattamenti inumani o degradanti, schiavitù o lavori forzati o obbligatori, che costituiscono gravi violazioni dei diritti umani o addirittura crimini contro l'umanità. La Libia non è un luogo sicuro come richiesto dal diritto internazionale».
Ed è a questo punto che arriva l'accusa diretta all'Italia. «L'Italia agisce in violazione del diritto internazionale. Richiedere ai capitani delle navi impegnate nella SAR (indipendentemente dal fatto che siano ONG, marina europea, guardia costiera o navi mercantili) di consegnare persone salvate alla guardia costiera libica espone le persone soccorse al rischio reale di diventare vittime di gravi violazioni dei diritti umani e di crimini contro l'umanità. L'Italia è responsabile delle prevedibili conseguenze di tali richieste da parte delle sue autorità». Non solo: «Il sequestro di un'imbarcazione dedicata alle attività SAR riduce la capacità disponibile per la ricerca e il salvataggio e comporta, in modo prevedibile, la perdita di più vite. L'Italia è responsabile della prevedibile perdita di vite umane a seguito di atti delle sue autorità».
L'appello rivolto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e alla Corte penale internazionale mira a chiarirela responsabilità dell'Italia in caso di violazione del diritto internazionale. «L'Italia», scrivono, «dovrebbe cessare la sua politica di promozione, direzione e rafforzamento dei rimpatri in Libia con effetto immediato, e dovrebbe cessare di perseguire gli attori che consegnano le persone soccorse in mare in un luogo sicuro».
Nel caso in cui l'Italia non cambi le proprie politiche l'auspicio è che «il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe considerare le azioni italiane una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali, invitare l'Italia a cessare le sue violazioni del diritto internazionale e promuovere un approccio coordinato alla SAR nel Mediterraneo che non includa l'esposizione delle persone soccorse al rischio di gravi violazioni dei diritti umani».
Per i firmatari «Costa d'Avorio, Guinea equatoriale ed Etiopia - essendo gli Stati membri dell'Unione africana che sono attualmente membri del Consiglio di sicurezza dell'ONU - i cui cittadini sono direttamente interessati dalle violazioni del diritto internazionale da parte dell'Italia, dovrebbero proporre un incontro immediato dell'ONU Consiglio di sicurezza a tal fine», mentre, «il Procuratore del Tribunale Penale Internazionale dovrebbe motu proprio aprire un'indagine riguardante le autorità italiane di alto livello in merito alla loro complicità nei crimini contro l'umanità che si svolgono in Libia e ogni Stato membro del Consiglio d'Europa dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di presentare un reclamo interstatale contro l'Italia alla Corte europea dei diritti dell'uomo».
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