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mercoledì 23 maggio 2018

Rifugiati? L’Uganda sceglie di continuare ad accogliere. Primo tra i paesi africani: ne ospita 1.500.000

Unimondo.org
Nelle scorse settimane, tra le notizie di politica internazionale, è comparsa quella che l’Uganda starebbe considerando la proposta dello Stato di Israele di farsi carico, ossia di ricollocare nel proprio Paese, circa 500 migranti provenienti dal Corno d’Africa, da Eritrea e Sudan in particolare. 

Il più grande campo profughi al mondo: è Bidi Bidi, al confine nord-ovest dell'Uganda,
con quasi 300mila sud sudanesi in circa 250 chilometri quadrati.
Dal 2013 sono circa 4mila i migranti che hanno lasciato Israele alla volta di Ruanda e Uganda all’interno di un programma “volontario” di rimpatrio attivato da Tel Aviv che prevede il pagamento del biglietto aereo e un incentivo di 3500 dollari; in alternativa si rischia di essere tradotti in carcere per immigrazione clandestina. 

Il programma, che si è intensificato da gennaio, trova la sua ragione d’essere nelle forti pressioni provenienti dalla base elettorale conservatrice del premier Netanyahu desiderosa di espellere dal Paese migranti economici, specialmente quelli provenienti dal continente nero. Ad aprile il governo israeliano aveva addirittura annunciato che avrebbe attivato dei rimpatri forzati incontrando però la ferma opposizione di gruppi di tutela dei diritti civili che hanno ottenuto dalla Corte Suprema israeliana una temporanea ingiunzione all’attuazione del piano. Da autorevoli indiscrezioni giornalistiche, emergere però che i decreti di espulsione e le possibili trattative per la ricollocazione dei migranti toccherebbero non 500 persone, come indicato nei documenti ufficiali, ma ben 8mila tra eritrei e sudanesi.

Migranti e rifugiati che andrebbero a sommarsi ai numerosi già ospitati dall’Uganda, primo fra i Paesi africani nell’accoglienza e quinto al mondo. Dati dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati alla mano, solo nel mese di marzo sono giunti in Uganda 6397 sud sudanesi, circa 208 al giorno, che ne portano il numero totale presente nel Paese a 1.053.598, fuggiti dal conflitto ancora in corso nonostante il cessate il fuoco del dicembre 2017. 

Una situazione che ha condotto l’Uganda a raggiungere il poco entusiasmante primato di detentrice del più grande campo profughi al mondo: è Bidi Bidi, al confine nord-ovest del Paese, con quasi 300mila sud sudanesi in circa 250 Chilometri quadrati. Un tale ammasso di umanità ben poco gestibile e controllabile, nel quale i casi di violenza sulle donne, di sparizione di bambini, nonché i ritardi nell’assistenza umanitaria sono evidenti. 

Di fatto, come riferisce Solomon Osakan, funzionario del governo ugandese, “Il ritmo con cui le persone arrivano è più rapido del tasso al quale ci stiamo registrando, quindi c’è un arretrato di persone non registrate. Sfortunatamente”, aggiunge inoltre, “i finanziamenti non sono andati al ritmo con cui arrivano i rifugiati”.

Dobbiamo precisare che le cifre a cui facciamo riferimento sono solo relative a rifugiati e profughi registrati ma, in un Paese quale l’Uganda dove le frontiere sono meno controllate di quanto potremmo pensare, sono molti gli sfollati che si mescolano con il resto della popolazione senza accedere alle strutture gestite dalle organizzazioni internazionali e dunque senza essere registrati/conteggiati. Non si tratta inoltre di accogliere solo i rifugiati provenienti dal confine nord col Sud Sudan. Sono molti anche quelli che scappano da Repubblica Democratica del Congo, Burundi e Somalia e che in Uganda hanno trovato ospitalità, nel complesso circa 1 milione e mezzo di individui. La gestione accentrata di Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda dal 1986, e i fondi messi a disposizione da parte delle organizzazioni internazionali hanno di fatto reso l’accoglienza di rifugiati, profughi e sfollati una risorsa per la comunità locale: l’intera economia ne beneficia, con la vendita di beni di consumo e di servizi, la costruzione di infrastrutture, l’iniezione di valuta pregiata sul mercato interno.

Questo non significa che la presenza di grandi campi profughi non porti a conseguenze, sul piano della sicurezza e/o sanità. Ad esempio, in seguito al verificarsi di oltre 900 casi di colera nel distretto di Hoima(in Uganda occidentale), al pari di altri territori dell’Africa nera maggiormente colpiti da questa pandemia, sono state spedite 370mila dosi di vaccino per scongiurare il più ampio contagio; il focolare iniziale, a quanto confermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbe partito proprio da un gruppo di rifugiati congolesi. 

Negli ultimi mesi, infatti, più di 42mila persone sono scappate dalla Repubblica Democratica del Congo attraverso il lago Albert verso l’Uganda. Per l’ennesima volta ragioni di stabilità interna, guerriglia continua, attentati, stupri, hanno condotto all’ennesima fuga verso la ricerca di salvezza; ancora una volta molti sono i morti segnalati nel tentativo di raggiungere un territorio dove poter vivere in pace e in sicurezza. 

In particolar modo i centri di accoglienza di Kagoma e Marutatu da tempo non riescono più a far fronte all’afflusso di rifugiati: è da lì probabilmente che le spaventose condizioni igieniche, l’accesso inadeguato a cibo e ad acqua, l’assenza di un riparo effettivo e dunque l’esposizione alle forti piogge che cadono copiose in questa stagione, uniti all’estrema debolezza fisica di chi è già provato dalle fatiche, hanno condotto allo scoppio dell’epidemia. Una tragedia nella tragedia.

Mariam Rossi

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