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giovedì 23 agosto 2018

Da fantasmi a cadaveri: le sparizioni forzate (desaparecidos) nella Siria di Assad

Corriere della Sera
"Ci vorranno anni, forse non succederà mai. Ma io devo combattere perché i responsabili di questo massacro paghino per i loro delitti". Anwar Al Bunni sa bene cosa significa essere un prigioniero di Assad. Nel maggio 2006 è stato in carcere per aver firmato un documento in cui si chiedeva al regime una riforma democratica.

Una manifestazione a Londra dell’associazione siriana Families for Freedom. (Bissan Fakih per Families for Freedom)
Una volta uscito di prigione nel 2011 la situazione era peggiorata ulteriormente. Era iniziata la primavera araba e il governo di Damasco stava per torturare e uccidere migliaia di persone, soprattutto giovani. Oggi che sono passati più di otto anni, Al Bunni non riesce a dimenticare. "Molti di loro non sono più tornati ma io ho ancora davanti agli occhi tutti i loro volti", dice al Corriere della Sera.

Al Bunni è un avvocato e con l'aiuto della ong tedesca European Center for Consitution and Human Right si batte per assicurare alla giustizia i colpevoli delle sparizioni forzate. Di recente il governo siriano ha notificato la morte di alcuni attivisti morti in stato di detenzione a Damasco. 


E ci si aspetta che a breve faccia lo stesso per Aleppo. Ma Al Bunni sa bene quanto questa sia solo la punta dell'iceberg e che il regime non ammetterà mai le sue colpe. Assad e i suoi uomini si sentono al sicuro da ogni tipo di condanna.

"La Siria non ha firmato il trattato di Roma che crea la Corte Penale Internazionale dell'Aja, dunque nessun siriano può essere processato di fronte a questo tribunale. Ma se un domani qualche gerarca di Assad o il presidente stesso dovessero lasciare la Siria, beh allora le cose potrebbero cambiare", spiega ancora il legale. Affinché però ci sia una possibilità di assicurare queste persone alla giustizia sono necessari dei mandati di cattura internazionali. Non tutti i Paesi permettono di spiccare mandati per persone che abbiamo compiuto crimini al di fuori della loro giurisdizioni. Ma ci sono delle eccezioni: la Germania è uno di questi. E proprio il giugno scorso la giustizia tedesca ha emesso un mandato per Jamil Hassan, capo dei servizi segreti di Damasco, accusato di "aver ucciso centinaia di persone tra il 2011 e il 2013".

Tra le denunce che Al Bunni ha presentato per arrivare a questo importante risultato c'è quella di Yazan Awad, 30 anni. Nel 2011 Awad era uno studente figlio di una ricca famiglia di Damasco. Lui e i suoi amici scendevano spesso a manifestare in piazza. Fino a quando viene arrestato. Le forze di sicurezza lo portano alla base di Al Mezzeh. Al Mezzeh è un nome che tutti i siriani conoscono e temono: già Assad padre la usava per rinchiuderci gli oppositori. Il carcere venne dismesso ma nell'adiacente base militare le torture sono continuate. "Mi hanno frustato, volevano sapere i nomi dei miei compagni poi mi hanno sbattuto in una cella con altre 180 persone", racconta al Corriere della Sera Awad. Il peggio doveva ancora venire. "Al 36esimo giorno mi hanno messo una pistola in bocca e mi hanno obbligato a recitare la shadada (la dichiarazione di fede musulmana)".

Awad rivede alcuni dei suoi amici in carcere, alcuni di loro oggi non ci sono più. "Io non ho mai incontrato Jamil Hassan ma alcuni di loro sì. Ed è stato terrificante". Grazie all'intervento della famiglia Awad viene liberato al 137esimo giorno e con l'aiuto di Al Bunni i suoi genitori riescono a farlo scappare in Germania. "Allora non lo capivo ma se fossi rimasto sarei morto".

In quegli stessi mesi, come dimostrerà nel 2015 un approfondito rapporto di Human Rights Watch basato sulle immagini fornite da Caesar, il disertore del regime che ha fornito al mondo le prove delle torture, migliaia di giovani sono scomparsi. Queste fotografie, in cui vengono mostrati i cadaveri identificati da un numero, rappresentano uno sforzo burocratico da parte del governo siriano di tenere il conto dei morti nelle prigioni. Caesar, il nome è di fantasia, era incaricato di documentare i decessi a partire dal 2011. Quando il disertore porta fuori le prove (oltre 55 mila fotografie e documenti), finalmente ciò che era un sospetto diventa una certezza. Le immagini dei corpi mostrano segni di sevizie terribili. È un pugno nello stomaco per l'opinione pubblica. Quelle foto, che vi mostriamo, fanno il giro del mondo.

È sulla base di queste prove che Al Bunni e i suoi assistenti riescono a imbastire i casi. E non a caso hanno deciso di lavorare in Germania. Qui a causa del conflitto ha trovato rifugio un milione di siriani. Oltre alla ong tedesca, sono tante le associazioni per i diritti umani che si sono messe al lavoro in questi anni per fornire le prove dei massacri. Tra queste la Commission for International Justice and Accountability (CIJA), in italiano "Commissione per la Giustizia e la Responsabilità Internazionale", che ha svelato la massiccia documentazione finora raccolta sulle torture e le esecuzioni di massa ordinate personalmente anche da Assad.

A riportarne i dettagli è un'accurata inchiesta di Ben Taub per il New Yorker, che ha avuto accesso agli archivi della Commissione. Il direttore e fondatore della CIJA è William Wiley, canadese che ha lavorato in diversi tribunali internazionali di alto profilo, mentre il Capo del team investigativo è l'avvocato Chris Engels.

La Commissione lavora da anni per raccogliere elementi e documenti sui crimini di guerra e contro l'umanità compiuti in Siria, avvalendosi della collaborazione di siriani che rischiano la vita per far uscire all'esterno migliaia di documenti dei vari servizi di sicurezza, d'intelligence e di polizia. Il risultato è un documento legale di 400 pagine in cui parla di "un record di torture sponsorizzate dallo Stato che è quasi inimmaginabile nel suo scopo e nella sua crudeltà".
Marta Serafini


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