Secondo il quotidiano Cumhuriyet, è stato trovato l'accordo politico. La notizia, se confermata, allontanerebbe definitivamente l'Ue. Con cui Ankara dice di volere ricucire.
Una manifestazione a favore della pena di morte in Turchia, dopo il presunto golpe del 2016. |
Abolita definitivamente nel 2004 nell'ambito dell'avvio del processo di adesione di Ankara all'Unione europea, la pena di morte sarebbe applicabile ai «casi di terrorismo» e a quelli di «omicidio di donne e bambini».
Tra Erdogan e Bahceli, riporta la testata in circolazione più antica del Paese, i colloqui sul tema sono stati avviati alla fine di luglio. Se l'accordo si concretizzasse, pregiudicherebbe - una volta per tutte - l'ingresso di Ankara nell'Ue, già ora appeso a un filo a causa della deriva autoritaria del governo e di un'agenda definita dal presidente francese Emmanuel Macron «anti-Europea».
Il paradosso è che la notizia dell'intesa sulla pena di morte - incompatibile con l'adesione di un Paese alla Unione europea - arriva in un momento in cui la Turchia si dice intenzionata a riportare in carreggiata i colloqui con Bruxelles.
Il paradosso è che la notizia dell'intesa sulla pena di morte - incompatibile con l'adesione di un Paese alla Unione europea - arriva in un momento in cui la Turchia si dice intenzionata a riportare in carreggiata i colloqui con Bruxelles.
Il 29 agosto, il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu ha dichiarato che Ankara privilegerà le riforme utili ad accelerarne l'ingresso nell'Unione - come la liberalizzazione dei visti -, spiegando di aspettarsi «di vedere i risultati di tali sforzi». Cavusoglu ha annunciato la re-istituzione del comitato ad hoc Reform Action Group, "congelato" nel 2015, composto dai ministri di Interno e Giustizia e deputato a sorvegliare sul rispetto della road map. Il ministro degli Esteri ha anche citato, a dimostrazione delle buone intenzioni della Turchia, la cessazione annunciata nel luglio scorso dello stato di emergenza, attivato in seguito al presunto golpe del 2016 e, a dire il vero, diventato superfluo dopo che un decreto presidenziale dello scorso luglio ha stralciato 74 articoli della Carta e consegnato a Erdogan il potere di bypassare il parlamento.
La posizione ondivaga di erdogan sulla pena di morte
Il decreto presidenziale di luglio ha completato il percorso avviato con il referendum costituzionale dell'aprile del 2017, che ha ampliato i poteri di Erdogan ed è stato indetto e approvato grazie ai voti decisivi del partito di Bahceli. L'ex vicepremier, a capo dell'Mhp dal 1997, ha sempre fondato il proprio programma elettorale sulla legittimità dello strumento della pena di morte e potrebbe rivendicare come successo personale una sua reintroduzione.
Erdogan, viceversa, all'inizio della propria carriera politica si schierò fermamente contro la pena capitale, salvo poi cambiare idea in tempi più recenti. Soprattutto, in seguito al presunto colpo di Stato di due anni fa, il presidente turco ha invocato il ritorno - via referendum - delle esecuzioni, specie per gli uomini dietro il golpe. «È il popolo a chiederla e noi non possiamo ignorare questa richiesta», disse, provocando la reazione della cancelliera tedesca Angela Merkel: «Un Paese che ha la pena di morte non può essere membro dell'Ue».
Ancora il primo agosto scorso, partecipando a una cerimonia funebre per la moglie di un soldato turco e suo figlio di 11 mesi uccisi da un ordigno attribuito dai media di Stato ai militandi curdi del Pkk, Erdogan ha dichiarato: «Fratelli miei, voi sapete quanto io sia sensibile alla pena di morte. Una volta che verrà votata dal parlamento, per me non ci saranno ostacoli ad approvarla. Lo farò».
Ora la notizia dell'accordo politico. Che, se confermato, rappresenterebbe l'ultimo - e probabilmente definitivo - strappo con Bruxelles.
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