Con la guerra l'export di armi è cresciuto a dismisura. Le Ong protestano, i governi discutono. Ma a Roma è rimpallo tra Difesa ed Esteri. Davanti ai massacri dello Yemen e allo strazio dei civili, nessuno può nascondere le sue responsabilità.
Amnesty International punta il dito contro gli Stati produttori di armamenti, che con questa guerra hanno moltiplicato a dismisura i loro affari: "Chi vende armi alla coalizione a guida saudita rischia di essere ricordato come complice di crimini di guerra", denuncia Steve Cockburn, vicedirettore per gli Affari globali.
Nel mirino c'è il governo spagnolo, che il 4 settembre aveva annunciato di non voler più vendere a Riad le bombe a guida laser e il 12 settembre ha fatto una precipitosa marcia indietro, con tutta probabilità legata all'irritazione dell'Arabia Saudita, che avrebbe cancellato anche l'acquisto di cinque corvette per due miliardi di euro.
Madrid deciderà domani, ma il "pentimento" Usa del 2016, in un contesto simile, fa pensare che le pressioni del Regno siano pesanti. Alla potenza economica di Riad ha resistito, solo in parte, la Germania, che ha bloccato però solo le nuove licenze di export verso Arabia, Emirati e Turchia. I governi hanno una foglia di fico ideale nella non lineare situazione yemenita: il Consiglio Onu per i diritti umani l'ha definita "un conflitto armato non internazionale", pur ricordando che il diritto umanitario è comunque cogente.
E la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza ha dato via libera alla coalizione che doveva sostenere il governo in carica. Ma nonostante in Yemen sia impossibile l'accesso ai giornalisti, in Europa il dibattito è aperto. Ieri Elisabetta Trenta ha scritto su Facebook che aveva chiesto al collega Enzo Moavero Milanesi una verifica di legalità sulla fornitura di bombe italiane RWM all'Arabia Saudita.
La titolare della Difesa ha sottolineato che "finora, erroneamente, si era attribuita la paternità della questione al ministero della Difesa, mentre la competenza è del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento)". In realtà l'Autorità per gli armamenti, ospitata al ministero degli Esteri e diretta da un diplomatico, è un ente amministrativo, con personale di altri dicasteri.
Come tale si conforma alle linee di indirizzo politico della Farnesina ma anche della Difesa, da cui vengono valutazioni di merito per le diverse autorizzazioni. Il problema è che queste direttive politiche, oltre che su post nei social network, devono passare per procedure formali, e per ora non è successo. Durante la scorsa legislatura le mozioni dei Cinque stelle che chiedevano l'embargo totale sono state respinte.
Il governo potrebbe fermare le consegne già autorizzate, ma aprendo la strada a complicati contenziosi giuridici. E a oggi non c'è traccia del fondo previsto per la riconversione dei lavoratori impegnati nel settore. Le vendite italiane, come per gli altri Paesi esportatori, erano esplose con gli scontri in Yemen: secondo i dati del Sipri da 31 milioni di dollari nel periodo 2008-2012 erano arrivate a 226 milioni fra il 2013 e il 2017.
Nel mirino c'è il governo spagnolo, che il 4 settembre aveva annunciato di non voler più vendere a Riad le bombe a guida laser e il 12 settembre ha fatto una precipitosa marcia indietro, con tutta probabilità legata all'irritazione dell'Arabia Saudita, che avrebbe cancellato anche l'acquisto di cinque corvette per due miliardi di euro.
Madrid deciderà domani, ma il "pentimento" Usa del 2016, in un contesto simile, fa pensare che le pressioni del Regno siano pesanti. Alla potenza economica di Riad ha resistito, solo in parte, la Germania, che ha bloccato però solo le nuove licenze di export verso Arabia, Emirati e Turchia. I governi hanno una foglia di fico ideale nella non lineare situazione yemenita: il Consiglio Onu per i diritti umani l'ha definita "un conflitto armato non internazionale", pur ricordando che il diritto umanitario è comunque cogente.
E la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza ha dato via libera alla coalizione che doveva sostenere il governo in carica. Ma nonostante in Yemen sia impossibile l'accesso ai giornalisti, in Europa il dibattito è aperto. Ieri Elisabetta Trenta ha scritto su Facebook che aveva chiesto al collega Enzo Moavero Milanesi una verifica di legalità sulla fornitura di bombe italiane RWM all'Arabia Saudita.
La titolare della Difesa ha sottolineato che "finora, erroneamente, si era attribuita la paternità della questione al ministero della Difesa, mentre la competenza è del ministero degli Affari Esteri (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento)". In realtà l'Autorità per gli armamenti, ospitata al ministero degli Esteri e diretta da un diplomatico, è un ente amministrativo, con personale di altri dicasteri.
Come tale si conforma alle linee di indirizzo politico della Farnesina ma anche della Difesa, da cui vengono valutazioni di merito per le diverse autorizzazioni. Il problema è che queste direttive politiche, oltre che su post nei social network, devono passare per procedure formali, e per ora non è successo. Durante la scorsa legislatura le mozioni dei Cinque stelle che chiedevano l'embargo totale sono state respinte.
Il governo potrebbe fermare le consegne già autorizzate, ma aprendo la strada a complicati contenziosi giuridici. E a oggi non c'è traccia del fondo previsto per la riconversione dei lavoratori impegnati nel settore. Le vendite italiane, come per gli altri Paesi esportatori, erano esplose con gli scontri in Yemen: secondo i dati del Sipri da 31 milioni di dollari nel periodo 2008-2012 erano arrivate a 226 milioni fra il 2013 e il 2017.
Nel solo 2016 l'Autorità per gli armamenti ha autorizzato vendite (da diluire in più anni) per 427 milioni di euro. Ora però le nuove licenze sono crollate e non arrivano a otto milioni per i primi sei mesi del 2018: in questa cifra non sono previste nuove autorizzazioni di export per le bombe della RWM.
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