«Dove gli scontri sono più intensi i migranti detenuti e ad alto rischio sono oltre 2.300; a causa dei combattimenti non riusciamo ad accedere ai centri».
Lo dice Paula Barrachina, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) in Libia. La vita di migliaia di persone è a rischio, e l’insicurezza sta mettendo in fuga anche le poche organizzazioni non governative presenti.
Il centro italiano rifugiati ha annunciato la sospensione delle operazioni, mentre sempre l’Onu denuncia che a causa delle politiche migratorie europee diminuiscono i viaggi della speranza, ma cresce il rischio di incidenti mortali.
Ma è l’attualità a tenere sotto pressione le organizzazioni internazionali. «Con le autorità locali e le altre agenzie dell’Onu stiamo valutando le opzioni possibili», dice Barrachina a proposito delle operazioni coordinate da Roberto Mignone, l’italiano a capo dell’Acnur a Tripoli. «Al momento – spiega – non riusciamo più a raggiungere i centri, in particolare le due strutture più esposte, dove vivono rispettivamente 1.900 e 450 persone».
Martedì l’agenzia Onu per i rifugiati aveva soccorso circa 300 migranti, trasferiti dal centro di detenzione di Ain Zara a un’area di Abu Salim ritenuta più sicura. L’operazione era stata condotta insieme con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Medici senza frontiere (Msf) e il Dipartimento libico per la lotta alla migrazione illegale (Dcim).
Ma a seguito dell’aggravarsi delle condizioni in Libia e della dichiarazione dello stato d’emergenza, «il presidente del Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) Roberto Zaccaria e il direttore Mario Morcone hanno deciso di sospendere temporaneamente le attività dell’ufficio a Tripoli e quelle di assistenza e tutela dei rifugiati sul territorio». È quanto si legge in una nota del Cir dopo l’intensificarsi degli scontri a Tripoli. «L’assistenza – prosegue il comunicato – riprenderà solo quando un quadro di sicurezza minimo sarà garantito».
Ma è l’attualità a tenere sotto pressione le organizzazioni internazionali. «Con le autorità locali e le altre agenzie dell’Onu stiamo valutando le opzioni possibili», dice Barrachina a proposito delle operazioni coordinate da Roberto Mignone, l’italiano a capo dell’Acnur a Tripoli. «Al momento – spiega – non riusciamo più a raggiungere i centri, in particolare le due strutture più esposte, dove vivono rispettivamente 1.900 e 450 persone».
Martedì l’agenzia Onu per i rifugiati aveva soccorso circa 300 migranti, trasferiti dal centro di detenzione di Ain Zara a un’area di Abu Salim ritenuta più sicura. L’operazione era stata condotta insieme con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Medici senza frontiere (Msf) e il Dipartimento libico per la lotta alla migrazione illegale (Dcim).
Ma a seguito dell’aggravarsi delle condizioni in Libia e della dichiarazione dello stato d’emergenza, «il presidente del Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) Roberto Zaccaria e il direttore Mario Morcone hanno deciso di sospendere temporaneamente le attività dell’ufficio a Tripoli e quelle di assistenza e tutela dei rifugiati sul territorio». È quanto si legge in una nota del Cir dopo l’intensificarsi degli scontri a Tripoli. «L’assistenza – prosegue il comunicato – riprenderà solo quando un quadro di sicurezza minimo sarà garantito».
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Fonti turche, intanto, confermano la ripresa della rotta anatolica. Nei primi 8 mesi dell’anno le autorità Ankara hanno fermato 16.617 persone che cercavano di raggiungere le sponde dell’Ue senza regolari documenti, con un aumento del 37% rispetto allo stesso periodo del 2017. Numeri che sono destinati a moltiplicarsi se in Siria non verranno fermati per tempo i massacri nella provincia di Idlib.
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