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lunedì 10 settembre 2018

Filippine, Amado Picardal il prete anti-Duterte in pericolo di vita

La Stampa
Fugge da un agguato e si ritira in solitudine il redentorista Amado Picardal, autorevole voce critica della Chiesa filippina verso i metodi del presidente.

«Potevo essere il quarto prete ammazzato, nell’ondata di uccisioni extragiudiziali, che segna il regime del presidente Duterte. La tranquilla routine fatta di silenzio, preghiera, fraternità con i confratelli Redentoristi poteva mettere a rischio la mia vita. E allora vado in un luogo più sicuro». 

Resterà per alcune settimane o forse mesi lontano dai riflettori, in un luogo isolato dove non è conosciuto, in una casa dove farà vita rigorosamente privata, il redentorista Amado Picardal, prete filippino che è una delle voci più autorevoli, determinate, sincere e coraggiose nell’opposizione al presidente Rodrigo Duterte.

Il leader politico, che è al potere a Manila dal 2016, fin dall’inizio della sua avventura politica ha instaurato un rapporto conflittuale con la Chiesa cattolica, influente istituzione nel Paese più cattolico d’Asia. Molti ecclesiastici, tra i quali Picardal, si erano schierati contro la sua possibile elezione. Qualcuno lo definito «satana» o «Pol Pot». Una volta eletto, Duterte non ha esitato a far scontare ai vertici della Chiesa cattolica filippina il suo risentimento e, da una posizione di vantaggio e di potere, ha screditato senza pietà e senza peli sulla lingua esponenti, riti, parole e idee del clero locale.

La sua «guerra alla droga», una vasta campagna repressiva che ha caratterizzato la sua azione di governo nel primo biennio di presidenza, si è tradotta in una scia di esecuzioni extragiudiziali senza precedenti, che hanno toccato l’incredibile quota di 25mila vittime. 

E se circa 4mila omicidi, secondo dati ufficiali, sono stati compiuti dagli agenti di polizia – in raid o conflitti a fuoco con tossicodipendenti e spacciatori – il resto delle uccisioni è opera di “squadroni di vigilantes”, che Ong come Amnesty International e Human Rights Watch hanno rivelato sono al soldo dei militari, comodamente utilizzati per compiere il “lavoro sporco”, in sfregio allo stato di diritto e nella più totale impunità.

Impigliato in questa organizzata rete di “omicidi di Stato” stava per finire anche Amado Picardal, che nei giorni scorsi ha notato brutti ceffi in motocicletta ronzare come calabroni intorno alla sua residenza a Cebu city . Sorvegliavano la sua casa, i suoi spostamenti, le sue abitudini, chiedendo anche informazioni su di lui. Deduzione ben presto fatta: lo scomodo prete-coraggio, che dà fastidio a Duterte fin da quando era sindaco della città di Davao, è sulla lista nera e poteva essere eliminato.

Lo stesso religioso redentorista conferma in un messaggio inviato a Vatican Insider: «Dal 2017 ricevo informazioni sul fatto che gli squadroni della morte prendono di mira i preti e che io ero in cima alla lista. Dopo l’uccisione di tre sacerdoti, nei mesi scorsi, ho creduto di poter essere il prossimo. Ho persino ricevuto un messaggio e-mail che mi accusava di essere un tossicodipendente e mi minacciava», volgare pretesto per giustificarne l’omicidio. «Prima di lasciare Manila, nel marzo scorso, ho saputo da una fonte affidabile che ero effettivamente un obiettivo», prosegue. Così Picardal ha deciso di trasferirsi al monastero di Cebu, lontano dalla capitale. Ma non è bastato.

«Un giorno la guardia del convento – racconta – mi ha riferito che c’erano sei uomini, su tre motociclette, con il volto coperto, vicino all’ingresso del monastero e della chiesa tra le 17 e le 18 di quel pomeriggio. Di solito era l’ora in cui andavo al supermercato e al bar». Lo stavano aspettando. L’esecuzione era organizzata. «Se fossi uscito da casa, non ci sarebbe stato scampo per me», dice. Di qui l’urgenza della fuga.

Ma perché il tentato omicidio? Perché un frate preso di mira nel suo convento? «L’unica spiegazione sta nella mia attività: ho predicato e scritto contro le uccisioni extragiudiziali negli ultimi 20 anni, da quando ero a Davao», ribadisce. Picardal è tuttora portavoce della “Coalizione contro le esecuzioni extragiudiziali”, che monitora il fenomeno. Ha fornito assistenza alla Commissione per i diritti umani a alla Ong Human Rights Watch per indagare sulle uccisioni. Il redentorista ha pubblicato uno speciale Rapporto sugli omicidi compiuti dagli “squadroni della morte” a Davao nel periodo 1998-2015, incluso nella denuncia presentata alla Corte Penale Internazionale, che ha messo sotto processo Duterte. Il sacerdote ha anche dato rifugio agli ex membri delle bande di vigilantes che, pentiti, hanno raccontato la loro storia e che saranno i testimoni nel processo davanti alla Corte.

Sulla delicata questione Picardal spesso rilascia interviste e ha tenuto conferenze in patria e all’estero. I mass media lo definiscono «uno dei più feroci critici del presidente», ma «io intendo solo essere una coscienza per la società», spiegalui. Oggi il religioso afferma che, secondo una sua fonte, l’ordine di eliminarlo viene direttamente dal Palazzo presidenziale di Malacanang: da Duterte o dal suo entourage. Ma «non ho ancora un prova certa», puntualizza. Tuttavia, dopo che tre preti attivisti sociali sono stati uccisi nell’ultimo anno e mezzo – omicidi ancora rimasti impuniti, con i colpevoli non identificati – il rischio per vita del prete-coraggio è serio: 

«Ho sempre saputo che la mia vita sarebbe stata a in pericolo e l’ho accettato, per adempiere alla mia missione profetica. Non ho paura della morte. Sono pronto ad accettare il martirio, ma non lo cerco né sarò un bersaglio facile».

Per questo il sacerdote lascia temporaneamente l’eremo sulla montagna di Cebu e sceglie la solitudine, in un luogo più sicuro. Lì si dedicherà alla preghiera, allo studio, alla scrittura. «Continuerò a parlare contro il male nella società attraverso i miei scritti. Digiunerò e pregherò affinché il Signore ci liberi dal male. Nel frattempo, chiedo ai miei amici di pregare per il nostro paese e per la mia sicurezza», conclude.

Intanto a continuare la sua missione a Manila, accanto a tanti altri preti, c’è il redentorista Ciriaco Santiago che ha messo a disposizione il suo talento di fotografo per documentare le storie e le circostanze delle esecuzioni extragiudiziali. Tutti alfieri per difendere la dignità della vita, i diritti umani, la legalità.

Paolo Affatato

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