«È essenziale che l’Italia, nella pratica e nel diritto, continui a applicare i principi della protezione internazionale dei rifugiati».
Al termine di tre giornate senza sosta a Roma, Filippo Grandi traccia un bilancio degli incontri con il governo e in Vaticano. L’Alto commissario Onu per i rifugiati, l’italiano più alto in grado alle Nazioni Unite, è stato invitato al “VI Incontro di coordinamento degli Organismi caritativi cattolici operanti in Iraq, in Siria e nei Paesi limitrofi”, promosso dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in collaborazione con la Segreteria di Stato e la Congregazione per le Chiese Orientali. Ma è sull’Italia, l’Europa e i migranti che il capo dell’Acnur, seppure con il consueto garbo, ribadisce come stanno le cose e di chi siano le responsabilità.
Cominciamo dall’Italia. Lei ha avuto incontri separati con Sergio Mattarella, il premier Conte e i ministri Moavero e Salvini. Quali sono stati i temi chiave?
Nel corso del colloquio con il presidente Mattarella è stato lui a riaffermare l’importanza che l’Italia ha dato e dà all’adesione ai trattati internazionali in materia di rifugiati, e di questo tengo a ringraziarlo. Anche con il ministro degli Esteri Moavero abbiamo discusso del fatto che bisogna insistere affinché nel prossimo Bilancio europeo vengano inserite risorse importanti e strategicamente mirate a stabilizzare alcuni flussi migratori, quindi offrire delle alternative. Da qui lo sforzo di ottenere anche dall’Unione europea risorse adeguate. Sono poi contento che il premier Conte si sia interessato a rendere gli aiuti all’Africa strategici e sostanziali a livello europeo, per affrontare le radici di questi problemi. Servono aiuti, ma serve soprattutto un’azione politica.
E con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che intenzioni ha riscontrato?
C’è stato un dialogo costruttivo, ci siamo confrontati, abbiamo parlato di accoglienza e di integrazione. Non c’è dubbio che continueremo.
Cosa intende?
Non si può pensare solo a consolidare un organismo, come la Guardia costiera libica, senza intervenire su tutto il resto. Serve uno sforzo coordinato che coinvolga anche altre strutture. In caso contrario, come nei fatti sta avvenendo, si intasano i centri di detenzione governativi senza poter dare risposte adeguate a migranti e richiedenti asilo. Anche per questo un suggerimento che abbiamo dato al governo italiano, come ad altri governi europei, è di concentrarsi sulla Libia per creare canali umanitari. È inutile negare che esistono differenze di vedute tra Paesi, ad esempio proprio tra Italia e Francia, ma il mio suggerimento è ancora quello di lavorare insieme per risolvere il problema in Libia. Rinnovo perciò l’appello agli Stati a lavorare insieme per aiutare l’Onu a trovare una soluzione politica al conflitto. Per questo insisto che non ci può solo essere il rafforzamento della Guardia costiera ma anche di altre istituzioni e questo in un contesto più stabile che può solo essere creato da un’azione comune internazionale.
Più volte esponenti politici e di governo hanno sostenuto che la presenza in Libia dell’Onu, e in particolare dell’Alto commissariato per i rifugiati, dimostra che nonostante l’instabilità, quello può essere considerato un 'porto sicuro'. È così
Cominciamo dall’Italia. Lei ha avuto incontri separati con Sergio Mattarella, il premier Conte e i ministri Moavero e Salvini. Quali sono stati i temi chiave?
Nel corso del colloquio con il presidente Mattarella è stato lui a riaffermare l’importanza che l’Italia ha dato e dà all’adesione ai trattati internazionali in materia di rifugiati, e di questo tengo a ringraziarlo. Anche con il ministro degli Esteri Moavero abbiamo discusso del fatto che bisogna insistere affinché nel prossimo Bilancio europeo vengano inserite risorse importanti e strategicamente mirate a stabilizzare alcuni flussi migratori, quindi offrire delle alternative. Da qui lo sforzo di ottenere anche dall’Unione europea risorse adeguate. Sono poi contento che il premier Conte si sia interessato a rendere gli aiuti all’Africa strategici e sostanziali a livello europeo, per affrontare le radici di questi problemi. Servono aiuti, ma serve soprattutto un’azione politica.
E con il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che intenzioni ha riscontrato?
C’è stato un dialogo costruttivo, ci siamo confrontati, abbiamo parlato di accoglienza e di integrazione. Non c’è dubbio che continueremo.
Cosa intende?
Non si può pensare solo a consolidare un organismo, come la Guardia costiera libica, senza intervenire su tutto il resto. Serve uno sforzo coordinato che coinvolga anche altre strutture. In caso contrario, come nei fatti sta avvenendo, si intasano i centri di detenzione governativi senza poter dare risposte adeguate a migranti e richiedenti asilo. Anche per questo un suggerimento che abbiamo dato al governo italiano, come ad altri governi europei, è di concentrarsi sulla Libia per creare canali umanitari. È inutile negare che esistono differenze di vedute tra Paesi, ad esempio proprio tra Italia e Francia, ma il mio suggerimento è ancora quello di lavorare insieme per risolvere il problema in Libia. Rinnovo perciò l’appello agli Stati a lavorare insieme per aiutare l’Onu a trovare una soluzione politica al conflitto. Per questo insisto che non ci può solo essere il rafforzamento della Guardia costiera ma anche di altre istituzioni e questo in un contesto più stabile che può solo essere creato da un’azione comune internazionale.
Più volte esponenti politici e di governo hanno sostenuto che la presenza in Libia dell’Onu, e in particolare dell’Alto commissariato per i rifugiati, dimostra che nonostante l’instabilità, quello può essere considerato un 'porto sicuro'. È così
Vorrei che non vi fosse nessuna ambiguità sulla nostra posizione rispetto ai salvataggi in mare. Quando le imbarcazioni sono avvistate, secondo le prassi normali, il diritto del mare e il diritto umanitario, è anche per senso di umanità, le persone vanno salvate e bisogna ci sia capacità sufficiente per questi salvataggi. La complessa discussione sulle Ong ha fatto sì che questa capacità si sia ridotta e abbiamo visto meno traversate, ma in proporzione più morti. E questo ci preoccupa fortemente. Peraltro a giugno ho visitato un centro governativo per migranti e sono sicuro non si trattasse di uno dei peggiori: raramente ho visto scene così miserabili per la dignità dell’uomo. Gli sbarchi, lo ribadisco, devono avvenire nel “porto sicuro” più vicino al salvataggio e sono d’accordo con il governo italiano: dobbiamo arrivare a una conclusione su come l’Europa condivida gli arrivi. La solidarietà europea di cui si parla tanto finora non si è manifestata.
Qual è il suo suggerimento per cominciare a trovare soluzioni condivise?
Bisogna arrivare a stabilire un meccanismo comune di sbarco e dopo sbarco. Soltanto in questo modo si eviteranno le crisi come abbiamo visto con la Diciotti. Noi diciamo: sbarcateli! L’assenza di questo automatismo non può essere pagata da persone innocenti. Non si può negoziare ogni volta, così non funziona. So bene che è difficile trovare un’intesa tra tutti i Paesi Ue, ma si può cominciare da una alleanza tra gli Stati di buona volontà.
Negli ultimi mesi il lessico nella politica e nel dibattito pubblico ha segnato toni e comportamenti talvolta al limite della violenza. Ci sono stati anche episodi che hanno visto stranieri sbeffeggiati, insultati, un omicidio e alcuni tentati omicidi, altri aggrediti selvaggiamente. Da Alto commissario, e da italiano, come reagisce a questo clima?
Il linguaggio della politica, in Europa e altrove, a destra come a sinistra, non deve consentire alcuno spazio per l’odio, l’esclusione e la discriminazione, ma deve condannarli in modo chiaro e senza condizioni. Il razzismo conduce la società alla rovina. Ho esortato il governo italiano a vigilare, a sorvegliare, affinché il linguaggio della politica non crei spazi per abusi, per violenze anche a sfondo razzista. Non accuso nessuno, non sta a me farlo, ma il linguaggio della politica è diventato molto aggressivo, non solo in Italia, e può dare spazio a tendenze latenti nella società, a trasferire tensioni sui migranti e sui rifugiati. Mi sento obbligato prima come alto commissario poi come italiano a dire che mi spiace che questo spazio si sia creato e spero fortemente che questo mio messaggio arrivi in modo costruttivo e amichevole a tutti gli interlocutori. E’ una preoccupazione che ho esteso anche ad altri Paesi europei, non si tratta di un problema solo italiano.
Papa Francesco ha voluto salutarla e ringraziarla, estendendo la gratitudine a tutto l’Alto commissariato per i rifugiati. Non è la prima volta che Francesco la riceve. Lei cosa ha detto a Bergoglio?
Al Papa ho manifestato tutta la mia e nostra preoccupazione per la situazione in Siria. Gli ho detto che a Idlib potremmo entrare in una fase sanguinosa, e gli ho detto che la sua voce è importante per tentare di scongiurare una nuova catastrofe. La situazione siriana ci preoccupa molto, una possibile offensiva su Idlib potrebbe causare un numero molto alto di vittime civili.
Come giudica l’iniziativa della Santa Sede per la Siria?
Molto bella e molto utile anche perché, come ha detto Papa Francesco, sorretta da una analisi molto accurata e da un confronto molto costruttivo. Quella cristiana nel conflitto siriano, e in generale in tutta la regione, è una prospettiva non solo interessante, ma centrale anche nel nostro lavoro.
Perché?
Prima di tutto è una prospettiva di solidarietà, che pone al centro le persone e obbliga perciò a “ri-umanizzare” il dibattito, ricordano che ci stiamo occupando di esseri umani, non di numeri. Le comunità cristiane rappresentano forze ed energie molto importanti in tutta la regione. Sono portatrici di una diversità che tutti vogliamo proteggere, ma questo va fatto in modo oculato, tenendo conto di tutte le condizioni sul campo. Con questi presupposti, e con la consapevolezza di tutte le questioni in campo, sono stati affrontati temi che sono veri dilemmi e che non riguardano solo la Siria, perché in quel quadrante i destini dei popoli si intrecciano.
Qual è il suo suggerimento per cominciare a trovare soluzioni condivise?
Bisogna arrivare a stabilire un meccanismo comune di sbarco e dopo sbarco. Soltanto in questo modo si eviteranno le crisi come abbiamo visto con la Diciotti. Noi diciamo: sbarcateli! L’assenza di questo automatismo non può essere pagata da persone innocenti. Non si può negoziare ogni volta, così non funziona. So bene che è difficile trovare un’intesa tra tutti i Paesi Ue, ma si può cominciare da una alleanza tra gli Stati di buona volontà.
Negli ultimi mesi il lessico nella politica e nel dibattito pubblico ha segnato toni e comportamenti talvolta al limite della violenza. Ci sono stati anche episodi che hanno visto stranieri sbeffeggiati, insultati, un omicidio e alcuni tentati omicidi, altri aggrediti selvaggiamente. Da Alto commissario, e da italiano, come reagisce a questo clima?
Il linguaggio della politica, in Europa e altrove, a destra come a sinistra, non deve consentire alcuno spazio per l’odio, l’esclusione e la discriminazione, ma deve condannarli in modo chiaro e senza condizioni. Il razzismo conduce la società alla rovina. Ho esortato il governo italiano a vigilare, a sorvegliare, affinché il linguaggio della politica non crei spazi per abusi, per violenze anche a sfondo razzista. Non accuso nessuno, non sta a me farlo, ma il linguaggio della politica è diventato molto aggressivo, non solo in Italia, e può dare spazio a tendenze latenti nella società, a trasferire tensioni sui migranti e sui rifugiati. Mi sento obbligato prima come alto commissario poi come italiano a dire che mi spiace che questo spazio si sia creato e spero fortemente che questo mio messaggio arrivi in modo costruttivo e amichevole a tutti gli interlocutori. E’ una preoccupazione che ho esteso anche ad altri Paesi europei, non si tratta di un problema solo italiano.
Papa Francesco ha voluto salutarla e ringraziarla, estendendo la gratitudine a tutto l’Alto commissariato per i rifugiati. Non è la prima volta che Francesco la riceve. Lei cosa ha detto a Bergoglio?
Al Papa ho manifestato tutta la mia e nostra preoccupazione per la situazione in Siria. Gli ho detto che a Idlib potremmo entrare in una fase sanguinosa, e gli ho detto che la sua voce è importante per tentare di scongiurare una nuova catastrofe. La situazione siriana ci preoccupa molto, una possibile offensiva su Idlib potrebbe causare un numero molto alto di vittime civili.
Come giudica l’iniziativa della Santa Sede per la Siria?
Molto bella e molto utile anche perché, come ha detto Papa Francesco, sorretta da una analisi molto accurata e da un confronto molto costruttivo. Quella cristiana nel conflitto siriano, e in generale in tutta la regione, è una prospettiva non solo interessante, ma centrale anche nel nostro lavoro.
Perché?
Prima di tutto è una prospettiva di solidarietà, che pone al centro le persone e obbliga perciò a “ri-umanizzare” il dibattito, ricordano che ci stiamo occupando di esseri umani, non di numeri. Le comunità cristiane rappresentano forze ed energie molto importanti in tutta la regione. Sono portatrici di una diversità che tutti vogliamo proteggere, ma questo va fatto in modo oculato, tenendo conto di tutte le condizioni sul campo. Con questi presupposti, e con la consapevolezza di tutte le questioni in campo, sono stati affrontati temi che sono veri dilemmi e che non riguardano solo la Siria, perché in quel quadrante i destini dei popoli si intrecciano.
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