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venerdì 26 ottobre 2018

“Meglio morire annegati”: la disperazione dei migranti nei campi della Grecia

Melting Pot Europa
Moria, Grecia – Michael Tamba, un ex prigioniero politico congolese, è sopravvissuto alla tortura nel suo Paese e ad un rischioso viaggio in mare dalla Turchia. Si è ritrovato più vicino alla morte nel campo profughi più grande d’Europa.


Intrappolato per mesi nel campo dell’isola greca di Lesbo, Tamba, 31 anni, ha cercato di suicidarsi ingerendo una bottiglia di cloro. Cosa lo ha portato a tale decisione? Lo stesso campo di Moria.

“Undici mesi a Moria… Moria.. Moria”, commenta Tamba, sopravvissuto dopo esser stato trasportato d’urgenza in ospedale. “É molto traumatico”.

L’esperienza di Tamba è diventata comune a Moria, un accampamento di circa 9.000 persone che vivono in uno spazio concepito per 3.100, dove le condizioni precarie e la stingente procedura d’asilo hanno generato quella che gli operatori umanitari descrivono come una crisi di salute mentale.

Il sovraffollamento è così endemico che i richiedenti asilo trascorrono fino a 12 ore al giorno nell’attesa di qualche alimento, che a volte arriva già ammuffito. La scorsa settimana c’erano circa 80 persone per ogni doccia e più o meno 70 per i servizi igienici; gli operatori umanitari hanno lamentato che i liquami hanno raggiunto persino le tende in cui stavano i bambini. Aggressioni di matrice sessuale, attacchi all’arma bianca e tentativi di suicidio sono fenomeni comuni.


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