Continuare i salvataggi in mare, favorire vie legali di immigrazione, come i corridoi umanitari
Sono passati cinque anni da quel terribile 3 ottobre 2013, quando 368 persone, per lo più donne e bambini eritrei, persero la vita in un naufragio al largo di Lampedusa. Una tragedia che si è ripetuta dolorosamente più volte negli ultimi anni.
Si calcola che dal 1990 ad oggi oltre 37mila persone siano morte in mare, nel tentativo di raggiungere l’Europa. E, nonostante il netto calo degli arrivi dei migranti attraverso il Mediterraneo, nel 2018 è aumentata la percentuale delle vittime in mare, a motivo di viaggi sempre più pericolosi.
La Comunità di Sant’Egidio ricorda che il salvataggio in mare fa parte di un codice umanitario condiviso a livello universale ed è una priorità per ogni nazione coinvolta.Una delegazione di Sant’Egidio, composta anche da alcuni sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013, parteciperà alla commemorazione il 3 ottobre a Lampedusa, invitando a ricordare le vittime dei viaggi verso l’Europa e a favorire vie legali di immigrazione e politiche di integrazione, come i corridoi umanitari.
Il progetto, totalmente finanziato da Sant'Egidio insieme alle Chiese protestanti italiane e alla CEI, finora ha prodotto risultati molto positivi ed è diventato ormai un modello per l’Europa avendo ottenuto l’adesione non solo dell’Italia, ma anche di altri Paesi europei come Francia e Belgio, con oltre duemila rifugiati dal Libano (per lo più siriani) e dall’Etiopia (profughi del Corno d’Africa).
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