Nella cittadina messicana al confine con gli Stati Uniti si sono riversati oltre 5 mila migranti centro-americani. Il primo cittadino sposa una posizione xenofoba: non li aiuteremo con i nostri soldi.
Juan Manuel Gastélum, sindaco di Tijuana (la città messicana al confine con gli Stati Uniti dove nelle ultime settimane si sono riversati oltre 5'000 migranti centroamericani), ha chiesto aiuto all'Organizzazione delle Nazioni Unite sostenendo che il territorio da lui governato si trova in piena «crisi umanitaria».
Il primo cittadino, accusato da parte dell'opinione pubblica di incoraggiare una posizione xenofoba nei confronti delle varie carovane di esuli, ha affermato che non «comprometterà la fornitura di servizi pubblici» ai residenti per accogliere gli stranieri.
«Non ho intenzione di spendere il denaro dei contribuenti locali, né di fare indebitare il Comune di Tijuana», ha aggiunto il sindaco, esponente del partito conservatore Acción Nacional.
Gastélum ha stimato una spesa di 500'000 pesos al giorno (circa 250000 dollari) per il mantenimento dei migranti centroamericani, per lo più raccolti in un accampamento, ormai saturo, situato nel centro sportivo Benito Juarez.
Il sindaco ha poi rivolto pesanti critiche anche al ministro degli Interni, Alfonso Navarrete, e al presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto, per aver «abbandonato» al proprio destino Tijuana.
La cittadina ha tra l'altro vissuto nuovi momenti di forte tensione dopo che alcune decine di partecipanti alla carovana hanno marciato verso il valico di frontiera di San Ysidro per manifestare contro la mancanza di volontà del governo degli Stati Uniti di soddisfare le loro richieste di asilo.
Il presidente Usa, Donald Trump, ha autorizzato le truppe americane inviate al confine col Messico di usare «la forza letale se sarà necessario per fermare i migranti che cercheranno di entrare nel Paese».
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