ONU Parigi - #TruthNeverDies. La verità non muore mai. Non è il titolo dell’ultimo film di James Bond, è lo slogan adottato dall’Unesco per la giornata di oggi, che dal 2013 è diventata la ‘Giornata internazionale per porre fine ai crimini contro i giornalisti”, mirata al riconoscimento dei rischi del giornalismo politico, e ad ottenere una tutela più completa del capitale intellettuale ed investigativo. Un capitale patrimonio di ogni testata piccola o grande che sia, in ogni paese del mondo.
Dice l’Unesco nella sua campagna social che ”Un giornalista vince il Pulitzer, cento vengono colpiti”.Ed è per questo che nel 2013 in omaggio ai due francesi uccisi proprio il 2 novembre in Mali, Ghislaine Dupont et Claude Verlon, l’agenzia dell’Onu decise di dedicare agli oltre 1000 reporter uccisi nel mondo dal 2006, e a coloro che li difendono, una giornata di riflessione.
”Quando un giornalista viene assassinato – dice uno slogan Unesco – possiamo fermarci per un minuto di silenzio oppure fare molto rumore”. E lo si capisce perché i dati in possesso dell’agenzia delle Nazioni Unite sono esplicativi della fatica e dei rischi che in molte parti del mondo quel lavoro comporta.
Dal 2006, l’Unesco, in un rapporto pubblicato ieri, stima in 1.010 i giornalisti e lavoratori dei media uccisi. Ma, aggiunge, in nove casi su dieci nessuno è stato condannato e il crimine è rimasto impunito.
Gli ultimi casi riguardanti il saudita Jamal Khashoggi, ucciso in modo feroce nel suo consolato in Turchia, Mohammed al-Absi avvelenato in Yemen; Miroslava Breach et Javier Valdez eliminati a colpi d’arma da fuoco in Messico sono appunto solo gli ultimi : al Newseum, il museo del giornalismo di Washington, c’è una parete di cristallo alta due piani dove risaltano i nomi di migliaia di operatori dell’informazione cui è stata tolta la vita.
Dalla strage di Charlie Hebdo a Parigi, a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia, da Maria Grazia Cutuli in Afghanistan, a DaphneCaruana Galizia a Malta, ai cinque giornalisti della Capital Gazette in Maryland, uccisi a sangue freddo, alle decine e decine di reporter abbattuti in Africa, Russia, Turchia, Medio Oriente, Sudamerica ma anche in quei paesi dove libertà di stampa e di inchiesta dovrebbero essere capisaldi di democrazia.
In occasione della Giornata, un gruppo di esperti di diritti umanitari eletti dall’ONU, ha voluto evidenziare come certo clima di violenza e intimidazione talvolta sia il primo passo verso la condanna dei giornalisti. David Kaye, special rapporteur per la promozione e la protezione del diritto alla libertà d’opinione e di espressione, Agnes Callamard, special rapporteur per i crimini umanitari, e Bernard Duhaime, segretario del gruppo che si occupa delle sparizioni involontarie, si sono uniti in un messaggio contro la tossicità delle politiche spesso adottate contro la libertà di stampa.
”Queste ultime settimane hanno dimostrato, una volta ancora, la natura tossica e sproporzionata dell’incitamento politico contro i giornalisti. Chiediamo agli stati membri di intraprendere politiche che assicurino alla giustizia chi attacca i giornalisti, sia in maniera fisica che politica e psicologica”, afferma il loro comunicato.
Partendo dal principio secondo il quale ogni popolo ha diritto alla verità, va sancito per sempre che i giornalisti hanno il diritto di raccontarla.
Dal 2006, l’Unesco, in un rapporto pubblicato ieri, stima in 1.010 i giornalisti e lavoratori dei media uccisi. Ma, aggiunge, in nove casi su dieci nessuno è stato condannato e il crimine è rimasto impunito.
Secondo il Committee to protect journalists nel 2018 sono stati ammazzati finora 45 giornalisti, contro i 71 del 2017. ma il bilancio di Reporters sans frontieres segnalava l’anno scorso 326 detenuti, 54 in ostaggio, 65 uccisi e due scomparsi.In 12 anni la lista delle vittime si è allungata, ma quella che riguarda intimidazioni, censure, violenze, endemiche in molti paesi del mondo tanto da rendere impossibile avere un informazione equa e libera, non è ancora stata stilata.
Gli ultimi casi riguardanti il saudita Jamal Khashoggi, ucciso in modo feroce nel suo consolato in Turchia, Mohammed al-Absi avvelenato in Yemen; Miroslava Breach et Javier Valdez eliminati a colpi d’arma da fuoco in Messico sono appunto solo gli ultimi : al Newseum, il museo del giornalismo di Washington, c’è una parete di cristallo alta due piani dove risaltano i nomi di migliaia di operatori dell’informazione cui è stata tolta la vita.
Dalla strage di Charlie Hebdo a Parigi, a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia, da Maria Grazia Cutuli in Afghanistan, a DaphneCaruana Galizia a Malta, ai cinque giornalisti della Capital Gazette in Maryland, uccisi a sangue freddo, alle decine e decine di reporter abbattuti in Africa, Russia, Turchia, Medio Oriente, Sudamerica ma anche in quei paesi dove libertà di stampa e di inchiesta dovrebbero essere capisaldi di democrazia.
In occasione della Giornata, un gruppo di esperti di diritti umanitari eletti dall’ONU, ha voluto evidenziare come certo clima di violenza e intimidazione talvolta sia il primo passo verso la condanna dei giornalisti. David Kaye, special rapporteur per la promozione e la protezione del diritto alla libertà d’opinione e di espressione, Agnes Callamard, special rapporteur per i crimini umanitari, e Bernard Duhaime, segretario del gruppo che si occupa delle sparizioni involontarie, si sono uniti in un messaggio contro la tossicità delle politiche spesso adottate contro la libertà di stampa.
”Queste ultime settimane hanno dimostrato, una volta ancora, la natura tossica e sproporzionata dell’incitamento politico contro i giornalisti. Chiediamo agli stati membri di intraprendere politiche che assicurino alla giustizia chi attacca i giornalisti, sia in maniera fisica che politica e psicologica”, afferma il loro comunicato.
Partendo dal principio secondo il quale ogni popolo ha diritto alla verità, va sancito per sempre che i giornalisti hanno il diritto di raccontarla.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.