Ben 42 organizzazioni non governative e associazioni umanitarie impegnate sul campo, tra cui Oxfam e Save the Children,hanno lanciato un appello alle autorità di Bangladesh e Myanmar, affinché l’eventuale rimpatrio dei profughi rohingya avvenga nel pieno rispetto dei loro diritti e con garanzie di sicurezza nelle regioni birmane in cui torneranno.
Il 30 ottobre i governi di Dakha e Naypyidaw hanno siglato un accordo lungamente negoziato, per avviare da metà novembre il rimpatrio in Myanmar degli oltre 700mila profughi di etnia rohingya residenti sul territorio bengalese. I difensori dei diritti umani denunciano che, a fronte di questa intesa, non siano state implementate misure per ripristinare la sicurezza nelle regioni da cui sono fuggite queste persone.
A innescare l’esodo, l’ondata di attacchi da parte dell’esercito birmano a fine agosto 2017 nello Stato di Rakhine, a maggioranza rohingya. Le Nazioni Unite hanno fatto richiesta più volte alle autorita’ birmane di avviare un’inchiesta per individuare i responsabili delle stragi, ma a oggi nulla è stato fatto. Inoltre, secondo le ong, ai profughi non sarebbe stata data nessuna garanzia di ottenere aiuti per reinserirsi in aree distrutte dagli attacchi, libertà di movimento e soprattutto la cittadinanza.
A innescare l’esodo, l’ondata di attacchi da parte dell’esercito birmano a fine agosto 2017 nello Stato di Rakhine, a maggioranza rohingya. Le Nazioni Unite hanno fatto richiesta più volte alle autorita’ birmane di avviare un’inchiesta per individuare i responsabili delle stragi, ma a oggi nulla è stato fatto. Inoltre, secondo le ong, ai profughi non sarebbe stata data nessuna garanzia di ottenere aiuti per reinserirsi in aree distrutte dagli attacchi, libertà di movimento e soprattutto la cittadinanza.
Il fatto di non avere regolari documenti, in quanto storicamente considerati «profughi dal Bangladesh», fa sì che da decenni i rohingya in Myanmar non godano di alcun tipo di diritto, tra cui accesso a sanità e istruzione.
Infine, secondo le testimonianze raccolte dagli operatori umanitari e rilanciate dalle testate internazionali, i rifugiati in Bangladesh si dicono “terrorizzati” all’idea di tornare in patria, dopo essere fuggiti da violenze tra cui stupri, torture e uccisioni indiscriminate da parte dei militari, nonché dalla distruzione dei propri villaggi.
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