A oltre 3mila chilometri dalle coste australiane si trova un’isola diventata tristemente celebre per gli elevati tassi di suicidio e l’emarginazione tra la popolazione di migranti e rifugiati che vi risiedono, confinati dall’Australia.
Assieme a Manus, nella Papua Nuova Guinea, l’isola di Nauru rappresenta uno dei due centri di detenzione “offshore” dell’Australia, dove i migranti e i rifugiati intercettati in mare sono costretti a vivere in condizioni di prigionia.
In cambio, l’Australia offre aiuti economici a questi paesi e ne acquista i servizi.
Secondo quanto riportato dal Guardian, i centri costano ai contribuenti australiani circa 1,2 miliardi di dollari all’anno. In Italia il vice primo ministro e leader della Lega Matteo Salvini ha più volte apprezzato, definendolo il suo “obiettivo”, il sistema australiano, che comprende respingimenti di imbarcazioni, la detenzione obbligatoria e a tempo indeterminato e la creazione di centri di detenzione all’estero per l’esame dei documenti dei migranti per scoraggiare l’immigrazione irregolare.
I richiedenti asilo trasferiti nel centro di detenzione di Nauru vivono in tende senza aria condizionata, in una delle zone più calde della terra. Alcuni si lamentano dei tetti e delle tende delle proprie abitazioni-container ammuffite o arrugginite e altri si lamentano della presenza costante di ratti e scarafaggi.
Un rapporto del governo australiano nel 2015 ha documentato innumerevoli accuse di violenza sessuale e fisica presso il centro di accoglienza, compresi casi che coinvolgono bambini.
Le accuse hanno riguardato sia altri detenuti sia il personale stesso del centro. In un recente rapporto, Medici Senza Frontiere riporta le drammatiche statistiche dell’isola.
Tra i 208 richiedenti asilo e rifugiati assistiti da MSF a Nauru, 124, ossia il 60 per cento, hanno pensato di togliersi la vita e 63 hanno tentato il suicidio. Secondo MSF, le condizioni di vita sull’isola incidono particolarmente sulle condizioni di salute dei migranti, aggravando i traumi derivanti da guerre o detenzioni a cui sono stati sottoposti in precedenza.
A 12 pazienti, tra adulti e bambini, è stata diagnosticata la “sindrome da rassegnazione”, una rara condizione psichiatrica in cui le persone arrivano a uno stato semicomatoso, sono incapaci anche di mangiare o bere, e hanno bisogno di cure mediche per restare in vita.
Le politiche del governo, ha aggiunto MSF nel rapporto “Disperazione senza fine”, hanno distrutto le speranze per il futuro e la salute mentale dei migranti detenuti a Nauru. “È disumano essere costretti a pensare che l’unico modo per riavere la propria libertà sia morire”. Anna Ditta ha intervistato la psicologa di MSF Sara Giorgi, rientrata a luglio scorso da Nauru.
“Tra le persone che si rivolgevano al nostro centro c’erano persone con livelli di disperazione altissimi, mai riscontrati prima. Mi toccava particolarmente il numero di bambini, tantissimi avevano problemi gravi e c’erano intere famiglie distrutte” ha detto la psicologa a margine di un incontro con studenti.
“Se stava male il bambino, i genitori erano talmente stanchi che non ce la facevano a farsi carico del supporto al bambino. Quando stavano male i genitori erano i bambini a doversi prendere cura di entrambi, e questo determina un carico sproporzionato per un bambino” ha aggiunto.
“Quello che si prospetta in genere a un rifugiato che richiede asilo è di approdare in un luogo sicuro, dove possa ricominciare la sua vita da dove questa è stata interrotta. A Nauru questo non è possibile. Neanche i bambini sono al sicuro”.
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