TPI
L'attivista egiziana e moglie di un consulente legale della famiglia Regeni era stata fermata con l'accusa di appartenere ad un gruppo terroristico e di aver diffuso notizie false.
Il 27 dicembre 2018, Amal Fathy, l’attivista egiziana moglie di Mohamed Lotfy, consulente legale della famiglia Regeni, è tornata a casa dopo 8 mesi di detenzione. A dare la notizia è il marito che attraverso una foto pubblicata su Facebook ha reso noto il rilascio della donna che ha potuto finalmente rivedere la famiglia.
Il 18 dicembre 2018 un tribunale del Cairo aveva disposto la scarcerazione di Amal Fathy, attivista egiziana moglie di un consulente legale della famiglia Regeni.
Amal era stata arrestata a maggio 2018 con l’accusa di appartenere ad un gruppo terroristico e di aver diffuso notizie false.
Al momento le è stata concessa la libertà vigilata con obbligo di verifica settimanale.
Da venerdì 11 maggio Amal Fathy era detenuta nel carcere di massima sicurezza Torah, in Egitto.
La donna è un’attivista impegnata per il rispetto dei diritti civili in Egitto ed è la moglie di Mohamed Lotfy, responsabile della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF), nonché legale e sostenitore dei Regeni al Cairo.
Dopo 141 giorni di carcere era stata condannata a due anni di carcere con sospensione temporanea della pena dietro pagamento di una multa di 480 euro e una cauzione di 960. Fathy è stata condannata per aver denunciato su Facebook le molestie ricevuto da un dipendente pubblico.
L’attivista era stata arrestata nelle prime ore dell’11 maggio insieme al marito, Mohamed Lotfy, ex ricercatore di Amnesty International e attuale direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’organizzazione non governativa egiziana che fornisce consulenza legale alla famiglia di Giulio Regeni. Lotfy e il loro figlio di tre anni erano stati rilasciati grazie al doppio passaporto svizzero.
Contro di lei era stata aperta anche un’altra inchiesta, per la quale era stata messa in detenzione preventiva, con le accuse di “appartenenza a un gruppo terroristico”, “diffusione di idee che incitano ad atti di terrorismo” e “pubblicazione di notizie false”.
Mohamed Lotfy aveva spiegato a TPI i tragici istanti della notte dell’arresto, durante il quale tutta la sua famiglia è stata vittima di un’incursione notturna delle forze di sicurezza egiziane.
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