Chi considera la solidarietà come un valore insopprimibile, chi è convinto che l'emergenza sicurezza sia un grande bluff populista, e non si stanca di dimostrarlo con la forza dei numeri che testimoniano la riduzione generale dei delitti, chi si è sentito troppe volte simile a un salmone che risale il fiume controcorrente, in questo terribile 2018 che ha portato il razzismo e la xenofobia al potere, ha provato una forte sensazione di sollievo nell'ascoltare in tv il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Parole come "la sicurezza c'è, se tutti si sentono rispettati", se cioè vengono garantiti i valori primari della convivenza, o l'elogio del Terzo settore, con l'invito a ritirare l'assurda "tassa sulla bontà" o infine l'augurio di buon anno "ai cinque milioni di immigrati che vivono, lavorano, vanno a scuola, fanno sport nel nostro Paese" sono un pungolo fortissimo a non arrendersi, ad andare avanti sulla strada indicata della Costituzione.
Vorrei oggi affrontare un problema molto delicato e certamente molto grave, quello degli stranieri reclusi nelle carceri italiane, per giungere alla conclusione che anche qui non c'è un'emergenza sorta in questi ultimissimi anni e che anzi le cose vanno un po' meglio. Secondo i dati del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, relativi al 2017, su circa 57 mila detenuti nelle prigioni della Penisola, più di 19 mila sono stranieri, e dunque un terzo del totale, nonostante la popolazione immigrata sia molto inferiore rispetto ai 55 milioni di italiani che vivono nel nostro Paese. Dato certamente molto preoccupante, ma migliore rispetto a quello di quindici anni fa.
Nel 2003, infatti, gli stranieri detenuti erano circa 17 mila, secondo i dati riportati nell'ultimo Dossier statistico immigrazione curato dal Centro di ricerche Idos, ma su una popolazione di stranieri residenti in Italia estremamente più bassa rispetto ad oggi: erano infatti 1 milione e 464 mila. Ragion per cui ben l'1,16 per cento degli stranieri "ufficiali" figurava allora tra le sbarre.
Oggi che il numero degli stranieri residenti si è più che triplicato (5 milioni e 47 mila) quelli detenuti si sono in proporzione ridotti a un terzo, scendendo allo 0,39 per cento della popolazione immigrata. Quanto al numero assoluto dei detenuti immigrati, anche qui c'è stato un netto miglioramento negli ultimi anni, perché nel 2013 erano quasi 22 mila, oltre 2 mila più di oggi.
Senza sottovalutare il problema, che, sia chiaro, resta grave, ci sono però alcune considerazioni da fare: tra gli stranieri sono molto meno diffuse le misure domiciliari alternative al carcere, molto maggiore è la quota dei detenuti in attesa di giudizio (sono il 38 per cento, ovvero quattro su dieci), molto più debole è la difesa. Non solo perché non possono permettersi gli avvocati migliori, ma persino perché è più difficile per loro farsi capire: nelle prigioni operano in tutto 223 mediatori culturali, poco più di uno ogni cento detenuti immigrati.
Senza contare che la popolazione straniera è molto più giovane di quella autoctona e la gran parte dei delitti si commettono sino a 50 anni d'età. Ancora: più cresce la gravità del reato, più diminuisce l'entità della componente straniera. Solo il 6 per cento di tutti gli ergastoli è a carico loro. Molti delitti, infine, sono commessi da stranieri irregolari, e questo mostra - ancora una volta - che è l'integrazione la via maestra da seguire. Con l'augurio che qualcuno, in questo 2019, capisca la lezione.
Corrado Giustiniani
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