Agromafie e sfruttamento. Intervista a Francesco Carchedi, a cura di Massimo Franchi, dal 16° Rapporto sui diritti globali.
Nel complessivo indebolimento del mondo del lavoro prodotto dalla liberalizzazione globale dei mercati e dal turboliberismo, un settore, quello agricolo, mostra ferite ancora più evidenti.
Oggi un terzo degli addetti in agricoltura in Italia (400.0000 su 1.200.000) sono stranieri, per lo più desindacalizzati e sottoposti a un intenso sfruttamento perché più facilmente ricattabili dagli imprenditori. Ci sono poi, secondo le stime della FLAI-CGIL, 200.000 i lavoratori informali, molti in nero, ancor più ricattati e sottoposti a condizioni inaccettabili.
Il caso di Paola Clemente, morta di fatica sui campi nel 2015, ha dimostrato però come anche gli italiani siano pesantemente sfruttati e come a fare caporalato siano anche le agenzie interinali.
Il caso di Paola Clemente, morta di fatica sui campi nel 2015, ha dimostrato però come anche gli italiani siano pesantemente sfruttati e come a fare caporalato siano anche le agenzie interinali.
La legge 199 del 2016 giustamente attribuisce all’imprenditore la responsabilità dell’ingaggio del caporale e della manodopera. Ma quella buona normativa presenta ancora criticità che vanno sanate. Il caporalato è un fenomeno storico, non limitato, come spesso si crede al Sud d’Italia: è presente anche al Nord, così come in altri Paesi europei, dalla Spagna, alla Francia, alla Germania.
È dunque necessario guardare al fenomeno con uno sguardo globale, anche perché, ci dice Francesco Carchedi, docente all’Università di Roma e collaboratore dell’Osservatorio Placido Rizzotto sulle agromafie, a esso contribuiscono indirettamente le multinazionali con il land grabbing, un processo neocoloniale di acquisizione delle terre senza il consenso delle comunità che ci abitano, in Africa e non solo; processo che alimenta anche i flussi migratori verso le campagne italiane.
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