Il ministro dell'Interno ripete da mesi che riportare i migranti in Libia significa salvarli. Ma quando vengono rispediti a Tripoli finiscono in carcere in condizioni spaventose, senza acqua né cibo per giorni, sottoposti a torture, a rischio di epidemia e alla compravendita.
Riportare i migranti in Libia significa salvarli, ripete da mesi il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ma se sei italiano è meglio non metterci piede: non ci sono «adeguati standard di sicurezza». Un paradosso certificato dal sito del ministero degli Affari esteri, che nel suo periodico aggiornamento del portale “Viaggiare sicuri” inserisce la Libia tra i Paesi maggiormente a rischio, invitando gli italiani a non partire o ad abbandonare quella zona, in virtù di una «assai precaria situazione di sicurezza».
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Ma è lo stesso governo di cui fa parte a smentire il ministro dell’Interno. L’aggiornamento risale infatti soltanto al 12 febbraio, dunque pochi giorni fa e in piena era gialloverde. «I viaggi (in Libia, ndr) sono assolutamente sconsigliati in ragione delle precarie condizioni di sicurezza nel Paese», si legge proprio in cima alla scheda delle informazioni generali. Poi tutta una sezione riguarda le condizioni di sicurezza del Paese, con l’invito ai connazionali «a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza».
Ma è lo stesso governo di cui fa parte a smentire il ministro dell’Interno. L’aggiornamento risale infatti soltanto al 12 febbraio, dunque pochi giorni fa e in piena era gialloverde. «I viaggi (in Libia, ndr) sono assolutamente sconsigliati in ragione delle precarie condizioni di sicurezza nel Paese», si legge proprio in cima alla scheda delle informazioni generali. Poi tutta una sezione riguarda le condizioni di sicurezza del Paese, con l’invito ai connazionali «a non recarsi in Libia e, a quelli presenti, a lasciare temporaneamente il Paese in ragione della assai precaria situazione di sicurezza».
Una situazione determinata dagli «scontri tra gruppi armati» che interessano «varie aree del Paese (incluso in Tripolitania, nell’area intorno a Sirte, a Sebha, Bengasi, Derna e Sabratha)». Il pericolo è alto anche nella capitale, segnala la Farnesina, zona in cui imperversa «la minaccia terroristica» e ad «elevato rischio rapimenti». Elevati i tassi di criminalità, «anche nelle principali città e strade del Paese, tra cui il tratto stradale costiero dalla Tunisia all'Egitto».
Una volta riportati in Libia, i migranti intercettati in mare finiscono in carcere in condizioni spaventose, spesso senza acqua né cibo per giorni, sottoposti a torture, a rischio di epidemia e sottoposti alla compravendita degli aguzzini locali.
Tra i pericoli segnalati anche la presenza di cellule jihadiste in varie zone del Paese, inclusa la capitale. «Attacchi terroristici rivolti a libici e stranieri, anche con ricorso ad autobombe, hanno avuto luogo a Tripoli (da ultimo contro la Commissione Elettorale il 2 maggio e contro la National Oil Corporation il 10 settembre 2018 - continua il report - Si sottolinea che standard adeguati di sicurezza non sono garantiti nemmeno nei grandi hotel della capitale, che sono anzi considerati ad alto rischio. Si richiama inoltre l'elevato rischio di sequestri di cittadini stranieri, a scopo di estorsione o di matrice terrorista, in tutto il Paese».
Spostarsi sul territorio è rischioso, al punto che tra le raccomandazioni vi è quella di evitarlo, assieme a riprese video o fotografie «a qualsiasi sito di rilevanza politica (ministeri, ambasciate, eccetera) nonché militare (inclusi porti, aeroporti e check point)», raccomandazioni che confermano una situazione socio-politica tutt’altro che serena. Così come la situazione sanitaria: le strutture sul territorio «sono inadeguate», tanto da consigliare lo spostamento di eventuali pazienti in Italia, Tunisia o Malta, anche se «le evacuazioni mediche dalla Libia sono per il momento estremamente problematiche», mentre molti medicinali risultano irreperibili. E per concludere, gli aeroporti sono spesso chiusi per «eventi sul piano della sicurezza», mentre si registrano attacchi aerei «sulla città di Misurata», in particolare contro l’aeroporto internazionale, il porto e alcune strutture industriali. Così come si verificano di frequente chiusure al valico di frontiera libico-tunisino di Ras Jadir. E in ogni caso, conclude la Farnesina, «ogni spostamento nel Paese, su ruota, comporta un elevatissimo rischio ed è fortemente sconsigliato».
La Libia, dunque, non è un posto sicuro. E se non bastassero le raccomandazioni del ministero degli Affari esteri, anche il report dell’Unhcr evidenzia una situazione drammatica: una volta riportati in Libia, i migranti intercettati in mare finiscono in carcere in condizioni spaventose, spesso senza acqua né cibo per giorni, sottoposti a torture, a rischio di epidemia e sottoposti alla compravendita degli aguzzini locali. Col rischio, poi, di pagare una seconda volta nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e scappare dall’inferno. Al punto da arrivare a dire «meglio morire in mare che tornare in Libia»
Una volta riportati in Libia, i migranti intercettati in mare finiscono in carcere in condizioni spaventose, spesso senza acqua né cibo per giorni, sottoposti a torture, a rischio di epidemia e sottoposti alla compravendita degli aguzzini locali.
Tra i pericoli segnalati anche la presenza di cellule jihadiste in varie zone del Paese, inclusa la capitale. «Attacchi terroristici rivolti a libici e stranieri, anche con ricorso ad autobombe, hanno avuto luogo a Tripoli (da ultimo contro la Commissione Elettorale il 2 maggio e contro la National Oil Corporation il 10 settembre 2018 - continua il report - Si sottolinea che standard adeguati di sicurezza non sono garantiti nemmeno nei grandi hotel della capitale, che sono anzi considerati ad alto rischio. Si richiama inoltre l'elevato rischio di sequestri di cittadini stranieri, a scopo di estorsione o di matrice terrorista, in tutto il Paese».
Spostarsi sul territorio è rischioso, al punto che tra le raccomandazioni vi è quella di evitarlo, assieme a riprese video o fotografie «a qualsiasi sito di rilevanza politica (ministeri, ambasciate, eccetera) nonché militare (inclusi porti, aeroporti e check point)», raccomandazioni che confermano una situazione socio-politica tutt’altro che serena. Così come la situazione sanitaria: le strutture sul territorio «sono inadeguate», tanto da consigliare lo spostamento di eventuali pazienti in Italia, Tunisia o Malta, anche se «le evacuazioni mediche dalla Libia sono per il momento estremamente problematiche», mentre molti medicinali risultano irreperibili. E per concludere, gli aeroporti sono spesso chiusi per «eventi sul piano della sicurezza», mentre si registrano attacchi aerei «sulla città di Misurata», in particolare contro l’aeroporto internazionale, il porto e alcune strutture industriali. Così come si verificano di frequente chiusure al valico di frontiera libico-tunisino di Ras Jadir. E in ogni caso, conclude la Farnesina, «ogni spostamento nel Paese, su ruota, comporta un elevatissimo rischio ed è fortemente sconsigliato».
La Libia, dunque, non è un posto sicuro. E se non bastassero le raccomandazioni del ministero degli Affari esteri, anche il report dell’Unhcr evidenzia una situazione drammatica: una volta riportati in Libia, i migranti intercettati in mare finiscono in carcere in condizioni spaventose, spesso senza acqua né cibo per giorni, sottoposti a torture, a rischio di epidemia e sottoposti alla compravendita degli aguzzini locali. Col rischio, poi, di pagare una seconda volta nel tentativo di attraversare il Mediterraneo e scappare dall’inferno. Al punto da arrivare a dire «meglio morire in mare che tornare in Libia»
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