La carcerazione volontaria nel Paese sta crescendo, al punto da preoccupare anche il governo. Nella nazione più vecchia del mondo, un detenuto su cinque ha più di 65 anni e le carceri faticano a ospitarli. “Mi piace di più la vita in prigione. Ci sono sempre delle persone intorno", dice una signora 80enne.
Pechino - “Quando sono uscita la seconda volta mi sono promessa di non cascarci più. Ma poi là fuori sentivo troppa nostalgia”. Così N. è entrata in un negozio e lo ha fatto di nuovo. Ha rubato un ventaglio, il terzo taccheggio della sua vita, una recidiva che le è costata una condanna a tre anni. Costata, o forse valsa: “Mi piace di più la vita in prigione. Ci sono sempre delle persone intorno, non mi sento sola qui”, racconta a Bloomberg questa signora 80enne. Già, anche con un marito, due figli e sei nipoti, in Giappone gli anziani possono sentirsi tremendamente soli. Specie le donne, spesso recluse in casa da una società tra le più maschiliste al mondo. Per questo per molte di loro la prigione è una necessità, se non addirittura una scelta.
La carcerazione volontaria nel Paese sta crescendo, al punto da preoccupare anche il governo. Nella nazione più vecchia del mondo, un detenuto su cinque ha più di 65 anni. E per molti di loro, nove su dieci nel caso delle donne, i reati sono minori, soprattutto piccoli furtarelli nei negozi. “Mio marito è morto lo scorso anno”, racconta una detenuta. “Non avevamo figli ed ero sola. Ho visto un pacco di carne al supermercato e lo volevo, ma pensavo che sarebbe stato un fardello economico. Così l’ho preso”. Il risultato è che le carceri ora faticano a ospitare tanti anziani. Il costo delle spese mediche nei penitenziari è salito dell’80% negli ultimi dieci anni. Di giorno molti detenuti senior ricevono assistenza da parte di personale specializzato, ma di notte sono i secondini che devono occuparsi di tutto.
Il governo ora assicura ai recidivi dai capelli bianchi una forma di assistenza pubblica. E indagando sul fenomeno, ha scoperto che il 40% di loro viveva da solo prima di commettere un reato. Una condizione sempre più frequente in Giappone, dove il tradizionale welfare familiare si sta velocemente sgretolando e quello statale fatica a tenere il passo. Provocando sofferenze economiche, ma anche sentimentali. “Mio marito ha avuto un ictus sei anni fa, e da quel momento è paralizzato a letto”, racconta a Bloomberg T., 80 anni e due figli, ora alla quarta condanna tutte per furtarelli. “Era durissima prendersi cura di lui, non potevo parlarne con nessuno perché me ne vergognavo. Quando ho rubato avevo soldi in tasca, ma non volevo tornare a casa e chiedere aiuto in prigione era l’unico modo”.
In questa reclusione pubblica questi anziani ritrovano, con le compagne di cella ma anche con il personale delle prigioni, delle relazioni umane che nella reclusione domestica avevano perso. “Non posso dire quanto mi piaccia lavorare nel laboratorio della prigione”, racconta N., 79 anni. “L’altro giorno mi hanno fatto i complimenti per la mia efficienza e ho capito la gioia del lavoro. Mi dispiace di non aver mai lavorato. La mia vita sarebbe stata differente”.
FILIPPO SANTELLI
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