La rivoluzionaria scelta del governatore della California che ha firmato la moratoria delle esecuzioni capitali
Gavin Newsom, nuovo governatore della California, con un gesto di coraggio politico, ha messo uno stop, forse definitivo, alle esecuzioni capitali nel Golden State. Con la firma di una moratoria ufficiale, il 13 marzo 2019, ha dichiarato il «miserabile fallimento» di una giustizia che ancora includa la morte.
Non era una scelta scontata, né obbligata. Afferma un nuovo standard dell’impegno politico, riaffermando la responsabilità etica di guidare, anche con scelte non sempre popolari. Politica come leadership non come “followship” sull’onda dei sondaggi e degli umori mutevoli. Al tempo di crescenti spinte populiste.
Vanno lette le ragioni di un politico di 51 anni, già sindaco di San Francisco, prima di crescere come vicegovernatore. «La pena di morte — ha detto — va contro la comprensione fondamentale che abbiamo dei diritti umani. Come governatore non presiederò all’esecuzione di nessuno». Anche gli oppositori della pena capitale in California, quanti hanno promosso nel 2012 e nel 2016 due referendum per l’abolizione, raggiungendo il 48 e il 47 per cento, perdendo di stretta misura, avevano insistito più sugli aspetti pratici, che sul suo rifiuto assoluto. Newsom è andato oltre, definendola, come è, «inefficace e irreversibile». Ma anche «immoral».
Alla base di questo atto politico non c’è solo l’argomento degli innocenti giustiziati. Delle 1493 esecuzioni compiute negli Stati Uniti, anche dopo 20 o 30 anni sono stati 164 i condannati dichiarati innocenti. Uno ogni 8. In California sono stati 30 gli innocenti uccisi dopo una detenzione terribile. Certo, c’è anche la chiara discriminazione sociale, razziale, che si accompagna in California e in tutti gli Stati Uniti alla pena capitale se sei nero, disabile mentale o senza i mezzi per un’adeguata difesa legale.
Ma dalla California viene un segnale. Il nuovo governatore sceglie fin dagli inizi del suo mandato di essere giudicato e criticato per quello che fino a poco tempo fa era un tabù anche per il suo predecessore democratico, una delle più grandi figure politiche della storia californiana, eletto quattro volte alla guida del Golden State: il governatore Jerry Brown. Chi scrive, assieme a molti ministri della giustizia e parlamentari italiani, con la Comunità di Sant’Egidio, gli aveva rivolto un appello per una moratoria e una commutazione delle sentenze in California. Il governatore esitò, nonostante la richiesta di molti, e non lo accolse, anche se ormai non correva più rischi politici.
di Mario Marazziti
Non era una scelta scontata, né obbligata. Afferma un nuovo standard dell’impegno politico, riaffermando la responsabilità etica di guidare, anche con scelte non sempre popolari. Politica come leadership non come “followship” sull’onda dei sondaggi e degli umori mutevoli. Al tempo di crescenti spinte populiste.
Vanno lette le ragioni di un politico di 51 anni, già sindaco di San Francisco, prima di crescere come vicegovernatore. «La pena di morte — ha detto — va contro la comprensione fondamentale che abbiamo dei diritti umani. Come governatore non presiederò all’esecuzione di nessuno». Anche gli oppositori della pena capitale in California, quanti hanno promosso nel 2012 e nel 2016 due referendum per l’abolizione, raggiungendo il 48 e il 47 per cento, perdendo di stretta misura, avevano insistito più sugli aspetti pratici, che sul suo rifiuto assoluto. Newsom è andato oltre, definendola, come è, «inefficace e irreversibile». Ma anche «immoral».
Alla base di questo atto politico non c’è solo l’argomento degli innocenti giustiziati. Delle 1493 esecuzioni compiute negli Stati Uniti, anche dopo 20 o 30 anni sono stati 164 i condannati dichiarati innocenti. Uno ogni 8. In California sono stati 30 gli innocenti uccisi dopo una detenzione terribile. Certo, c’è anche la chiara discriminazione sociale, razziale, che si accompagna in California e in tutti gli Stati Uniti alla pena capitale se sei nero, disabile mentale o senza i mezzi per un’adeguata difesa legale.
Ma dalla California viene un segnale. Il nuovo governatore sceglie fin dagli inizi del suo mandato di essere giudicato e criticato per quello che fino a poco tempo fa era un tabù anche per il suo predecessore democratico, una delle più grandi figure politiche della storia californiana, eletto quattro volte alla guida del Golden State: il governatore Jerry Brown. Chi scrive, assieme a molti ministri della giustizia e parlamentari italiani, con la Comunità di Sant’Egidio, gli aveva rivolto un appello per una moratoria e una commutazione delle sentenze in California. Il governatore esitò, nonostante la richiesta di molti, e non lo accolse, anche se ormai non correva più rischi politici.
di Mario Marazziti
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