Prima di negare lo status di rifugiati ai migranti che dichiarano di essere omosessuali e di rischiare la vita se rimpatriati a causa del loro orientamento sessuale, si deve accertare se nei Paesi d’origine non solo non ci siano leggi discriminatorie e omofobe ma anche verificare che le autorità del luogo apprestino «adeguata tutela» per i gay, ad esempio se colpiti da «persecuzioni» di tipo familiare. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso di un cittadino gay della Costa d’Avorio, minacciato dai parenti.
Bakayoko Aboubakar S. aveva raccontato che era di religione musulmana, coniugato con due figli, e diventato oggetto «di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre» che era imam del villaggio, «dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale».
Aveva deciso di fuggire quando il suo partner era stato «ucciso in circostanze non note, a suo dire ad opera di suo padre», l’imam. Secondo la Cassazione «non è conforme a diritto» - quanto deciso oltre che dalla Commissione prefettizia anche dal Tribunale di Catanzaro nel 2014, e dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2016 - aver negato la protezione a Bakayoko senza accertare se nel suo Paese sarebbe difeso dalle minacce dei parenti. Il caso adesso si riapre e sarà riesaminato da altri giudici nell’appello bis ordinato dagli “ermellini”.
Nel verdetto, i supremi giudici scrivono che pur in mancanza di «riserve sulla credibilità» del profugo ivoriano - non messa in discussione nelle fasi di merito - «non risulta che sia stata considerata la sua specifica situazione» e siano stati «adeguatamente valutati» i rischi «effettivi» per la sua incolumità «in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di una adeguata tutela da parte dell’autorità statale».
Nel verdetto, i supremi giudici scrivono che pur in mancanza di «riserve sulla credibilità» del profugo ivoriano - non messa in discussione nelle fasi di merito - «non risulta che sia stata considerata la sua specifica situazione» e siano stati «adeguatamente valutati» i rischi «effettivi» per la sua incolumità «in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di una adeguata tutela da parte dell’autorità statale».
«A tal uopo - prosegue la Cassazione - non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendosi accertare in tale paese la sussistenza di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati».
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