Continua la macabra conta delle vittime negli istituti penitenziari italiane. Drammatica la situzione in Campania. Il garante: «solo 95 educatori per 15 carceri ( 7.832 persone), 32 psicologi e 16 psichiatri»
Domenica pomeriggio, Giovanni Pontillo, un 59enne di Capodrise ( CE), si è impiccato nella sua cella del carcere napoletano. Era detenuto nel reparto Ionio, alta sicurezza del carcere, dove stava scontando una condanna in primo grado a 20 anni per spaccio internazionale di droga e associazione a delinquere.
È il quinto suicidio in un carcere in Campania dall’inizio dell’anno, gli altri erano avvenuti nel carcere superaffollato di Poggioreale, al centro di una recente rivolta.
La denuncia del Garante. Il Garante dei Detenuti della Campania, Samuele Ciambriello, ha denunciato la carenza di personale adatto a occuparsi della salute mentale dei reclusi negli istituti detentivi della regione: «Ogni carcere, anche Secondigliano, ha avuto approvato e validato dall’Osservatorio regionale della sanità il Protocollo di prevenzione del rischio suicidario in istituto. Ma mancano le figure sociali di psicologi ed educatori: 95 educatori per 15 Istituti penitenziari ( 7832 detenuti), 32 psicologi e 16 psichiatri, per complessive 1428 ore mensili. In media ogni mese queste figure sociali dedicano ad ogni detenuto 10/ 11 minuti. E adesso gli psicologi devono stare anche nei consigli di disciplina», spiega il Garante. «Non si può morire in carcere e di carcere», prosegue Ciambriello.
«Ogni morte violenta è un’offesa alla vita, al buon senso, alla Costituzione ed un invito, un desiderio di saperne di più sulla vita detentiva, ma anche il coraggio di dubitare delle proprie credenze in merito al carcere». Il penultimo suicidio, invece, è avvenuto nel carcere di Ferrara. Il detenuto, come accade troppo spesso, aveva problemi psichiatrici e l’ 11 luglio si è impiccato.
La strage. Con l’ennesimo recente suicidio, siamo giunti a 25 persone che si sono tolte la vita dall’inizio dell’anno. Parliamo di una macabra conta senza fine, una lunga lista funebre.
L’istituto penitenziario è come un luogo pieno di cappelle mortuarie e infatti le celle, tecnicamente, vengono anche chiamate “cubicoli”. D’altronde la parola “carcere” deriva anche dall’ebraico “carcar” che vuol dire, appunto, “tumulazione”.
Il tema dei suicidi in carcere rimane di estrema attualità. Secondo un vecchio studio del Consiglio d’Europa, in Italia il rischio di suicidio in carcere era risultato fra i più elevati.
Non solo, mentre fra la popolazione libera negli ultimi 20 anni i tassi di suicidio diminuiscono progressivamente, ciò non accade in carcere. Diversi sono i fattori e in diverse Regioni le direzioni del carcere e le Asl hanno aderito a un protocollo di intesa per prevenire i suicidi e gli atti di autolesionismo. Ma non appare sufficiente.
Molte sono le situazioni – basti pensare ai detenuti con problemi psichici – che a buon titolo possono essere comprese nel concetto di vulnerabilità: lo stesso numero dei suicidi viene considerato per certi aspetti un indicatore, così come lo sono i tantissimi casi di autolesionismo registrati.
Anche gli agenti tra le vittime. Ma il sistema penitenziario non risparmia nemmeno gli agenti. Tra il 1997 e il 2018 sono 143 coloro che si sono tolti la vita ( dati registrati da Ristretti Orizzonti), già sette i casi registrati nel 2019.
L’ultimo il 10 luglio: un agente in servizio alla Casa circondariale di Bologna si è ucciso nella sua casa in Abruzzo, aveva 35 anni. Ad aprile un altro, sempre a Bologna. A giugno un agente originario di Sassari che, da anni, lavorava a Vigevano si era ucciso mentre era in ferie in Sardegna.
«Il carcere è un contenitore di disagio sociale e noi siamo dall’altra parte, disarmati, senza strumenti per affrontarlo», dice amaramente Nicola D’Amore, delegato del Sinappe, il Sindacato nazionale autonomo di Polizia penitenziaria, di stanza alla Casal circondariale di Bologna.
Damiano Aliprandi
Fonte: Il Dubbio
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