Egidio, malato e costretto a scontare in cella l’aiuto dato allo straniero. «Erano meglio i servizi sociali»
Nove mesi di galera per aver portato un migrante irregolare in Italia. Nessun passaggio di denaro, nessuno scambio di favori. Lo aveva fatto gratis. Ma la legge è legge, e quello si chiama «favoreggiamento dell’immigrazione irregolare».
Perciò Egidio a 80anni passati è finito in galera. Ne è uscito da morto. Non di vecchiaia, ma di tumore. La giustizia avrà avuto le sue ragioni. Che poi si sia trattata di una sentenza 'giusta', è tutto da vedere. La storia, raccolta e rilanciata dall’agenzia Agi per la firma di Manuela D’Alessandro, è sconcertante. Il vecchio Egidio, che il suo avvocato Letizia Tonoletti ricorda come «operaio saldatore e giramondo in pensione», in carcere a Parma «spesso doveva attaccarsi a una macchinetta per respirare».
E insomma «non doveva finire in una prigione». Il giorno prima del suo decesso, il 6 settembre, il magistrato di Sorveglianza ha autorizzato la detenzione domiciliare in ospedale. Troppo tardi. L’uomo era stato condannato nel 2017 a tre anni e mezzo di carcere dal Tribunale di Ancona. Nel 2012 avevano trovato un uomo dentro a un baule legato sopra al suo furgone, sbarcato con un traghetto dalla Grecia all’Italia.
«Dopo essere stato denunciato, il mio assistito non ha più ricevuto notizie di quel procedimento perché spiega l’avvocato – ha cambiato domicilio dimenticandosi di comunicarlo alla magistratura ». Dopo la sentenza sono arrivate le forze dell’ordine a rinfrescargli la memoria. Per il diritto penale si tratta di un reato ostativo, che cioè non consente alternative alla detenzione in cella. Unico modo per evitare la galera sarebbe stata una perizia medica che non ne consentisse la permanenza in una casa circondariale. Istanza che, in casi come questo, può essere depositata solo dopo che il condannato sia stato arrestato.
A maggio di quest’anno l’avvocato Tonoletti si è fatta avanti chiedendo i domiciliari. Anche in questo caso, però, la scelta non è stata facile. Egidio, infatti, a causa della condanna aveva perso anche l’assegno assistenziale a integrazione della misera pensione. Insomma, stare a casa da solo, senza una rete di solidarietà intorno, gli avrebbe restituito la libertà ma non la tranquillità. Ai primi di settembre, il giudice del tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia conferma al difensore che avrebbe concesso la detenzione domiciliare solo dopo le dimissioni dall’ospedale.
Egidio, infatti, tempo prima aveva scoperto di essere affetto da un cancro, trascorrendo periodi di ricovero in ospedale prima di venire arrestato. Che non si trattasse di un delinquente di mestiere, del resto senza alcun precedente, lo prova il non avere comunicato il cambio di residenza. «Se l’avesse fatto, un legale avrebbe potuto chiedere di patteggiare una pena che non comportava il carcere – spiega ancora Tonoletti – o, almeno, fare appello, fermando così l’esecuzione della pena».
Scorciatoie giudiziarie ben note ai mestieranti dell’illegalità, non certo a un povero vecchio. Comunque siano andate le cose, questa brutta storia una cosa la suggerisce: «Sarebbe giusto – suggerisce il legale – che, davanti a casi che coinvolgono soggetti così fragili, la magistratura, prima di emettere l’ordine di esecuzione, allerti i servizi sociali»
Nello Scavo
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