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mercoledì 18 settembre 2019

L'immigrazione non è un'emergenza ma un fenomeno perfettamente gestibile

La Stampa
Ogni giorno ci svegliamo con l'ennesimo naufragio nelle acque del Mediterraneo. Ogni giorno dobbiamo fare i conti con le decine di migranti e rifugiati che perdono la vita cercando di raggiungere l'Europa. Ogni giorno siamo confrontati a retoriche opportunistiche di coloro che sembrano avere dimenticato la loro umanità. Eppure quei morti si possono evitare, perché dobbiamo smettere di pensare all'immigrazione come una emergenza.
 

Bisogna smettere di trasformare in tragedia, un fenomeno perfettamente gestibile alzando muri e fili spinati, chiudendo i porti o scaricando la responsabilità sui paesi di arrivo.

Sembra impensabile che un progetto politico visionario quale l'Unione europea che, lasciandosi alle spalle la tragedia di due conflitti mondiali e la guerra fredda, sapendo garantire per oltre sessant'anni la pace nel continente, si areni davanti a un fenomeno perfettamente gestibile. Sembra inaudibile che in un paese come l'Italia, che per secoli ha visto i suoi cittadini emigrare in America e Australia e che ancora soffre di una grande emigrazione di giovani all'estero, si trovi oggi a stigmatizzare l'immigrazione seminando odio e paura in casa, fomentando tensioni e divisioni in Europa. 

A pochi giorni dall'inizio di un nuovo esecutivo europeo con a capo la tedesca Ursula von der Leyen, ci sembra opportuno puntare i riflettori sul fatto che bisogna smettere di puntarci il dito addosso e metterci intorno a un tavolo per trovare una soluzione.

La prossima presidente della Commissione europea dovrà accelerare il dialogo tra gli stati per eliminarne le contrapposizioni, e trovare una sintesi per forgiare un consenso politico sulle misure necessarie ad affrontare il fenomeno migratorio, in primo luogo la riforma del Sistema europeo comune di asilo. Nel 2016, anno in cui sono stato presentato il maggior numero di richieste d'asilo nell'UE, tali domande sono state 1,3 milioni vale a dire circa lo 0,26% della popolazione europea. Non si tratta certo di un'invasione. Non si tratta di un problema di numeri o di mancanza di risorse, ma di assenza di coraggio e volontà politica.

Trovare soluzioni durature è una sfida, ma è anche un dovere morale che deve essere affrontato non da un solo paese, ma da tutti i paesi. Per vincere è necessario porre in essere un partenariato globale e inclusivo in cui solidarietà e responsabilità siano condivise da tutta la comunità internazionale, e non solo da alcuni paesi e donatori ospitanti. Il Patto Globale sulla Migrazione ci fornisce una possibilità in tal senso. Il dibattito europeo, alimentato da dati falsi e stereotipi, è frutto di un'impostazione distorta della realtà, che non amplifica e condivide i numerosi vantaggi dell'immigrazione sia in termini di sviluppo economico che sociale. Per contrastare tale narrativa negativa, spesso intollerante e xenofoba, è necessario dissipare pregiudizi e false paure, abbandonando la cultura dello "scarto e del rifiuto", come Papa Francesco ha ripetutamente richiesto.

Le persone che sbarcano sulle nostre coste animate dalla ricerca di un futuro migliore non rappresentano una minaccia, ma un'opportunità per il modello economico e sociale europeo. A tal fine, dovrebbero essere attuate politiche d'integrazione sostenibili di lungo periodo, che prevedano il vaglio e il riconoscimento delle competenze, istruzione e formazione, allo scopo di stimolare l'economia. 

Una società fiorente senza una politica migratoria sicura e ordinata, sostenuta da tutti gli Stati Membri, è impensabile. L'unanimità tuttavia non può continuare ad essere l'alibi per l'immobilismo, come è stato sottolineato da Enrico Letta nei giorni scorsi. Ecco perché non bisogna più rimandare la ricerca di soluzioni.

Abbiamo bisogno di canali di ingresso legali, corridoi umanitari e una gestione ordinata e condivisa, nonché il consolidamento delle frontiere comuni. Occorrono vere politiche di investimento nei paesi terzi, non solo in quelli alle frontiere dell'Europa, per affrontare le situazioni di conflitto, di cambiamento climatico e povertà. Il cambiamento strutturale nella natura delle relazioni UE-Africa è già in atto, da una relazione donatore-destinatario a un dialogo tra pari basato sulla complementarità di reciproci interessi. 

Questo processo sarà sicuramente facilitato dalla creazione dell'area di libero scambio continentale (Afcfta), che sarà la più grande del mondo. Questo deve essere il momento del coraggio, il momento in cui si decide del futuro del progetto europeo, è il momento di dimostrare se siamo all'altezza della nostra storia e delle responsabilità che abbiamo verso le nuove generazioni. Dobbiamo fermare questa logica irrazionale, abbracciare un pragmatismo ambizioso, identificando le soluzioni che sono già a portata di mano. Basta slogan e tweet, è ora di agire insieme.

Luca Jahier, Presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo

Pietro Bartolo, Parlamentare europeo

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