Tra i tanti inferni che esistono in terra, un posto speciale merita sicuramente la discarica di Antananarivo, un immenso perimetro disseminato di immondizia, colline di rifiuti sulle quali brulica una umanità febbrile e disperata, presa a frugare incessantemente tra quegli ammassi guasti pur di svoltare la giornata rimediando qualcosa da riciclare, da vendere, da mettere sotto i denti. È da quelle parti della città - non troppo lontano, a giudicare dai miasmi che di tanto in tanto porta il vento- che un missionario sloveno, nato in Argentina 71 anni fa, ha fatto un miracolo. Un autentico prodigio. Proprio in quel posto infernale, dove vive da trent’anni, ha dato vita ad Akamasoa, il luogo dell’amicizia, una cittadella ogni giorno più grande nella quale 30mila persone vivono, lavorano, imparano un mestiere, vanno a scuola. www.perepedro-akamasoa.net
Il lavoro
Padre Pedro è una istituzione nazionale. La sua fama ha da tempo valicato i confini africani e gli è valsa la candidatura al Nobel per la Pace. C’è chi lo accosta a Madre Teresa: esattamente come lei, si prende cura del recupero di donne e bambini tra i rifiuti. «Nella discarica, quando sono arrivato, non c’erano un bianco e dei neri, c’erano solo fratelli. La povertà non è una fatalità, ma la conseguenza di una politica fatta da uomini che hanno dimenticato e voltato le spalle allo stesso popolo che li aveva eletti».Le manone callose di padre Pedro, in questi decenni, hanno lavorato tanto. Agli uomini ha insegnato il mestiere di carpentiere, li ha aiutati a costruire delle piccole case in muratura, grandi quanti una tenda da campeggio, per uscire dalle baracche di lamiere e stracci. Grazie ai suoi interventi si è lievemente abbassato un tasso di mortalità che in trent’anni ha riempito quattro cimiteri. Mentre parla, fuori dal suo ufficio, ogni tanto spuntano dal nulla nugoli di bambini. «Merci, bienvenue» ripetono agli ospiti e poi ridendo spariscono di nuovo.
Oggi sono 13 mila e 500 i bambini che vivono sicuri ad Akamasoa; tutti scolarizzati, tutti sottratti al destino della discarica. «Alla fine della settimana per noi è una sfida reperire i soldi per comprare le 8 tonnellate di riso che ci servono per assicurare un pasto completo». Nell’ultimo decennio, Pedro ha comprato una cava di pietra che viene chiamata “la cattedrale”, perché vista dall’alto evoca appunto la sagoma di una cattedrale capovolta. Nella parte bassa, in fondo a un dirupo, lavorano di scalpello soprattutto donne, alle quali viene dato un salario minimo. Chi riesce a lavorare lì è un miracolato. Il presidente francese Sarkozy nel 2008 ha conferito a questo missionario, che appartiene all’ordine dei Vincenziani, l’onorificenza più alta. In Francia Pedro è una specie di istituzione, perché incarna la Chiesa che difende l’umanità, rendendo concreto il discorso della Montagna. Papa Francesco ieri pomeriggio è andato a trovarlo: voleva controllare di persona se rispondesse al vero quello che gli avevano raccontato.
L’incontro
Una volta varcato il cancello di Akamasoa, le stradine cambiano di colore. Il rosso della terra battuta diventa grigio perché le vie sono lastricate con sampietrini ricavati dalla cava; le casette sono in muratura hanno il tetto aguzzo, i canali di scolo e le staccionate colorate, così di colpo ti trovi dall’Africa in Slovenia. Intanto, oltre il cancello, la miseria ricompare deforme e sovrasta ogni cosa in una nazione dove 9 persone su 10 vivono con meno di 1 dollaro e mezzo al giorno.
Francesco è uscito da lì con gli occhi umidi e ha ripetuto quella frase dell’apostolo Giacomo: «La fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa é morta». Poi ha lanciato un messaggio per l’Africa. «Bisogna raggiungere modelli di sviluppo che privilegino la lotta contro la povertà e l’esclusione sociale». Alla cava delle pietre, quasi sull’orlo della cattedrale rovesciata, ha recitato una preghiera contro la disoccupazione: «Dio di giustizia, tocca il cuore di imprenditori e dirigenti: provvedano a tutto ciò che è necessario per assicurare a quanti lavorano un salario dignitoso e condizioni rispettose della loro dignità di persone umane».
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