Sembra una guerra che non fa rumore, tale il silenzio dei media internazionali, che soltanto a singhiozzo si occupano della vicenda.
È una catastrofe umanitaria di proporzioni colossali: tre milioni di civili ammassati a ridosso del confine turco, nella regione di Idlib, nel nord-ovest della Siria, in condizioni proibitive per il freddo, per la carenza di cibo, per la precaria assistenza sanitaria.
Tre milioni di persone, tra i quali moltissimi sono bambini, donne e anziani, che tentano di fuggire dalla guerra tra Siria e Russia da una parte e Turchia dall’altra, che proprio su quella dorsale, tra Idlib e Aleppo, continuano a combattere.
L’ultimo allarme è stato lanciato pochi giorni fa da un gruppo di medici e di coordinatori umanitari, siriani e internazionali, che si sono riuniti in Turchia per fare il punto della situazione su quelle zone, investite da mesi da sistematici bombardamenti delle forze aeree russe.
Tutti al gelo e rischio carestia
«Lo sfollamento di decine di migliaia di civili, in larga parte donne e bambini, che continua a verificarsi nei distretti di Idlib e Aleppo, assieme alle dure condizioni meteorologiche invernali, all’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità, costituiscono le basi per un alto rischio di carestia», ha dichiarato all’Ansa Maamun Ladhkani, uno degli operatori umanitari che si trovano sul posto. In tutta la Siria la progressiva svalutazione della moneta locale al dollaro Usa ha portato a un’impennata dei prezzi (in due mesi è più che raddoppiato il prezzo della benzina), anche per i beni di prima necessità. «La gente non ha i soldi per comprare il combustibile per riscaldarsi, e c’è chi dà fuoco a gusci di pistacchi», hanno riferito i volontari delle Associazioni umanitarie.
«Lo sfollamento di decine di migliaia di civili, in larga parte donne e bambini, che continua a verificarsi nei distretti di Idlib e Aleppo, assieme alle dure condizioni meteorologiche invernali, all’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità, costituiscono le basi per un alto rischio di carestia», ha dichiarato all’Ansa Maamun Ladhkani, uno degli operatori umanitari che si trovano sul posto. In tutta la Siria la progressiva svalutazione della moneta locale al dollaro Usa ha portato a un’impennata dei prezzi (in due mesi è più che raddoppiato il prezzo della benzina), anche per i beni di prima necessità. «La gente non ha i soldi per comprare il combustibile per riscaldarsi, e c’è chi dà fuoco a gusci di pistacchi», hanno riferito i volontari delle Associazioni umanitarie.
Bombardamenti e vittime civili
Le notizie filtrano a fatica, i riflettori internazionali sono spenti. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani in Siria (Syrian Observatory for Human Rights – SOHR), nell’ultima settimana (dal 15 al 22 gennaio) tra Idlib e Aleppo ci sono stati 3900 tra attacchi aerei e terrestri, con circa 500 vittime, oltre metà delle quali tra la popolazione civile (e moltissimi sono bambini). «La recente escalation del regime e le operazioni militari russe all'interno della zona di "de-escalation" si estendono dalle montagne nord-orientali di Lattakia, alla periferia nord-occidentale della città di Aleppo passando per Hama e Idlib», è scritto nell’ultimo reportage pubblicato da SOHR. Che pubblica perfino un minuzioso e spaventoso resoconto del tipo di attacco portato e delle vittime rimaste sul terreno. «Aerei da guerra russi: almeno 313 incursioni. Aerei da guerra del regime: oltre 129 incursioni. Elicotteri del regime: 68 bombe a botte. Regime forze di terra: oltre 3.380 missili e proiettili di artiglieria. Gli attivisti della SOHR hanno anche documentato nello stesso periodo l'uccisione di 77 civili tra cui 28 bambini e il ferimento di altri 182. Le vittime sono state distribuite come segue: 43 civili tra cui 23 bambini e sette donne sono stati uccisi nel bombardamento russo di Bala, Kafrtaal, Kafr Jum, Al-Jinah, Uwayjil, Kafr Nouran, Jadraya, Arhab, Kafr Naha, nelle vicinanze di Atarib nella campagna occidentale di Aleppo e Al-Barah a sud di Idlib. 21 civili, tra cui tre bambini e un membro della difesa civile, sono stati uccisi in un bombardamento da jet del regime nella città di Idlib e Hass. 13 civili, tra cui due bambini e tre donne, sono stati uccisi a causa di bombardamenti da parte di gruppi jihadisti nei quartieri della città di Aleppo controllata dal regime».
Le notizie filtrano a fatica, i riflettori internazionali sono spenti. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani in Siria (Syrian Observatory for Human Rights – SOHR), nell’ultima settimana (dal 15 al 22 gennaio) tra Idlib e Aleppo ci sono stati 3900 tra attacchi aerei e terrestri, con circa 500 vittime, oltre metà delle quali tra la popolazione civile (e moltissimi sono bambini). «La recente escalation del regime e le operazioni militari russe all'interno della zona di "de-escalation" si estendono dalle montagne nord-orientali di Lattakia, alla periferia nord-occidentale della città di Aleppo passando per Hama e Idlib», è scritto nell’ultimo reportage pubblicato da SOHR. Che pubblica perfino un minuzioso e spaventoso resoconto del tipo di attacco portato e delle vittime rimaste sul terreno. «Aerei da guerra russi: almeno 313 incursioni. Aerei da guerra del regime: oltre 129 incursioni. Elicotteri del regime: 68 bombe a botte. Regime forze di terra: oltre 3.380 missili e proiettili di artiglieria. Gli attivisti della SOHR hanno anche documentato nello stesso periodo l'uccisione di 77 civili tra cui 28 bambini e il ferimento di altri 182. Le vittime sono state distribuite come segue: 43 civili tra cui 23 bambini e sette donne sono stati uccisi nel bombardamento russo di Bala, Kafrtaal, Kafr Jum, Al-Jinah, Uwayjil, Kafr Nouran, Jadraya, Arhab, Kafr Naha, nelle vicinanze di Atarib nella campagna occidentale di Aleppo e Al-Barah a sud di Idlib. 21 civili, tra cui tre bambini e un membro della difesa civile, sono stati uccisi in un bombardamento da jet del regime nella città di Idlib e Hass. 13 civili, tra cui due bambini e tre donne, sono stati uccisi a causa di bombardamenti da parte di gruppi jihadisti nei quartieri della città di Aleppo controllata dal regime».
Andrea Gaiardoni
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