La scritta antisemita a Mondovì, gli insulti a Liliana Segre, ma anche le minacce e i messaggi d’odio a Carlo Verdelli ed Eugenio Scalfari, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non ha dubbi: «È l’odio l’emergenza di questo Paese».
«È un’emergenza culturale e civile. Nell’odio in cui siamo immersi c’è spesso assenza totale di pensiero. Inconsapevolezza di quali ferite si aprano nel ridare corpo a certi fantasmi. Io a questo fallimento non voglio rassegnarmi e penso non sia giusto rassegnarsi», dice Lamorgese in un’intervista a Repubblica.
La ministra rivela che anche lei è stata oggetto di insulti in rete: «Io non ho account social, sono stati i miei figli a raccontarmi il florilegio di epiteti che mi è stato rovesciato addosso. “Feccia di donna” credo che sia stato il più garbato. Gli altri sono irripetibili». La sua “colpa” è l’aver autorizzato lo sbarco dei migranti a bordo della Open Arms.
Lamorgese non cita mai Matteo Salvini («di lui non parlo, è la regola che mi sono data»), ma afferma: «La politica, tutta, ha urgente bisogno di una igiene delle parole e dei comportamenti. Anche perché la mancanza di igiene e la progressiva assuefazione all’odio hanno già prodotto come effetto l’indifferenza».
«L’indifferenza è peggio del negazionismo e del riduzionismo», dice la ministra. E cita Liliana Segre: «Tempo fa ascoltai la sua testimonianza, quello che mi colpì fu il racconto dell’indifferenza che accompagnava le famiglie di ebrei ai vagoni verso i campi di sterminio. “Eravamo invisibili”, diceva Segre. “Ci vedevano portare via, ma era come se non esistessimo. Come se fossimo trasparenti”».
Per Lamorgese quello dell’odio è un fenomeno che richiede la collaborazione di «forze dell’ordine, famiglie, scuole». «La posta in gioco è il nostro futuro». Infine assicura: «Non sono un ministro indifferente, lavoro ogni giorno per combattere l’odio. Ho riattivato il centro di coordinamento delle attività di analisi e scambio che fa capo alla presidenza del Consiglio proprio per contrastare e contenere il contagio dell’odio. E quando posso, come ministro dell’Interno, vado nelle scuole».
«Cito ancora Segre perché ho visto ragazzi piangere mentre raccontava il viaggio verso i campi di concentramento con i buglioli destinati agli escrementi nei vagoni piombati, che ad ogni scossone investivano del loro contenuto gli essere umani accatastati. Ecco vedendo Segre non risparmiarsi sulla sua testimonianza, mi sono convinta ancora di più che questo sia il compito non solo di chi è nelle Istituzioni, ma di ciascuno di noi. Testimoniare. Non c’è libro, non c’è giorno della memoria, o ricorrenza che tenga, al confronto», conclude Lamorgese.
«È un’emergenza culturale e civile. Nell’odio in cui siamo immersi c’è spesso assenza totale di pensiero. Inconsapevolezza di quali ferite si aprano nel ridare corpo a certi fantasmi. Io a questo fallimento non voglio rassegnarmi e penso non sia giusto rassegnarsi», dice Lamorgese in un’intervista a Repubblica.
La ministra rivela che anche lei è stata oggetto di insulti in rete: «Io non ho account social, sono stati i miei figli a raccontarmi il florilegio di epiteti che mi è stato rovesciato addosso. “Feccia di donna” credo che sia stato il più garbato. Gli altri sono irripetibili». La sua “colpa” è l’aver autorizzato lo sbarco dei migranti a bordo della Open Arms.
Lamorgese non cita mai Matteo Salvini («di lui non parlo, è la regola che mi sono data»), ma afferma: «La politica, tutta, ha urgente bisogno di una igiene delle parole e dei comportamenti. Anche perché la mancanza di igiene e la progressiva assuefazione all’odio hanno già prodotto come effetto l’indifferenza».
«L’indifferenza è peggio del negazionismo e del riduzionismo», dice la ministra. E cita Liliana Segre: «Tempo fa ascoltai la sua testimonianza, quello che mi colpì fu il racconto dell’indifferenza che accompagnava le famiglie di ebrei ai vagoni verso i campi di sterminio. “Eravamo invisibili”, diceva Segre. “Ci vedevano portare via, ma era come se non esistessimo. Come se fossimo trasparenti”».
Per Lamorgese quello dell’odio è un fenomeno che richiede la collaborazione di «forze dell’ordine, famiglie, scuole». «La posta in gioco è il nostro futuro». Infine assicura: «Non sono un ministro indifferente, lavoro ogni giorno per combattere l’odio. Ho riattivato il centro di coordinamento delle attività di analisi e scambio che fa capo alla presidenza del Consiglio proprio per contrastare e contenere il contagio dell’odio. E quando posso, come ministro dell’Interno, vado nelle scuole».
«Cito ancora Segre perché ho visto ragazzi piangere mentre raccontava il viaggio verso i campi di concentramento con i buglioli destinati agli escrementi nei vagoni piombati, che ad ogni scossone investivano del loro contenuto gli essere umani accatastati. Ecco vedendo Segre non risparmiarsi sulla sua testimonianza, mi sono convinta ancora di più che questo sia il compito non solo di chi è nelle Istituzioni, ma di ciascuno di noi. Testimoniare. Non c’è libro, non c’è giorno della memoria, o ricorrenza che tenga, al confronto», conclude Lamorgese.
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