Dopo le rivolte, associazioni e sindacati chiedono al governo misure straordinarie per evitare la diffusione del contagio dietro le sbarre: “Il sovraffollamento aumenta il contagio”.
Quelli che possono andare agli arresti domiciliari
Da una parte si stanziano nuove risorse per il personale penitenziario e in particolare per le ore di straordinario e per la ristrutturazione degli istituti danneggiati dalle rivolte. Dall’altra si fa riferimento a una legge già in vigore dal 2010, la numero 199, che prevede la possibilità di eseguire le pene detentive di durata non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di pena maggiore, in luoghi esterni al carcere, come l'abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza”. Dal decreto del governo sono però esclusi i reati particolarmente gravi, come ad esempio quelli richiamati dall'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario, i maltrattamenti in famiglia o lo stalking. L’obiettivo dovrebbe essere prima di tutto la tutela della salute del personale della polizia penitenziaria, dei detenuti e di tutti gli operatori.
Le proposte in un appello firmato anche dalla Cgil
Ma per molti le misure messe in campo finora sono insufficienti perché non rispondono a una crisi molto profonda e soprattutto datata. Il primo problema, ha spiegato in un editoriale sul manifesto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, è il sovraffollamento. “In questo momento nelle carceri italiane vi sono circa quattordicimila persone in più rispetto alla capienza regolamentare effettiva. Il sovraffollamento nella vita quotidiana significa condividere dodici metri quadri in quattro persone, dormire praticamente con la faccia spalmata sulla soffitta della cella, essere visitato dal medico raramente, non avere lo spazio per leggere tranquillamente seduti su uno sgabello, non avere privacy neanche quando si va in bagno. Da qualche settimana, oltre a tutto questo, il sovraffollamento significa anche avere il timore del contagio. “Per questo – dice Gonnella – nei giorni scorsi, insieme a Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, e con l’adesione della Conferenza nazionale volontariato Giustizia e di Ristretti, abbiamo richiesto l’adozione di misure dirette a decongestionare le carceri, a partire da chi versa in condizioni di salute peggiori o di chi sta scontando gli ultimi scampoli di pena. Misure che avevamo proposto anche a tutela della salute dello stesso staff carcerario”.
Tra le proposte più urgenti: la fornitura immediata e straordinaria di dpi a tutto il personale penitenziario; l’immediata e progressiva sanificazione di tutti gli ambienti carcerari, a cominciare dagli spazi comuni di socialità, da quelli adibiti a caserme e uffici del personale, dalle officine di lavorazioni e dai magazzini. Il varo di un Piano straordinario e immediato di assunzioni di personale penitenziario. È necessario poi riportare la salute in carcere al centro delle politiche sanitarie, nazionali e territoriali, attraverso il reclutamento straordinario di medici, infermieri e operatori socio-sanitari da destinare all'assistenza sanitaria in carcere. L'assunzione di specifici piani di salute e prevenzione per ogni singolo istituto penitenziario. Vanno ripresi e rafforzati il percorso, i princìpi e le finalità contenute nella legge vigente: deve essere garantita qualità e uniformità degli interventi e delle prestazioni sanitarie nei confronti dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimenti restrittivi.
Cgil e Funzione pubblica lo avevano detto
Ancora prima del varo del decreto “Cura Italia”, Cgil e Funzione pubblica Cgil erano intervenute per chiedere un alleggerimento della pressione e interventi seri. Le prime misure adottate per fronteggiare l'emergenza Coronavirus nelle carceri, si legge in un comunicato del 10 marzo, “sono sicuramente un passo in avanti”, ma “sarebbe sbagliato non ragionare di ulteriori interventi che possano deflettere la pressione nelle carceri”. Cgil e Funzione pubblica Cgil avevano sollecitato in particolare proprio l'estensione del ricorso ai domiciliari, l'assolvimento anticipato della pena fino a un massimo di un anno per alcuni reati minori e il potenziamento urgente e straordinario della Polizia penitenziaria.
Il punto di vista dei cappellani di Rebibbia
Analisi simile sul rischio della diffusione del contagio (anche se fino al 16 marzo non ci erano registrati casi conclamati negli istituti di pena) è quella di don Marco Fibbi, coordinatore dei cappellani del carcere romano di Rebibbia. Secondo don Fibbi, è evidente che si tratta di mettere in campo misure straordinarie visto il grado di affollamento della maggior parte degli istituti. È praticamente impossibile rispettare le regole varate dal governo perché la distanza di sicurezza nelle celle dove vivono in media sei persone non esiste. Peggiorano poi le condizioni di tutti i detenuti, soprattutto di quelli più poveri, che spesso, ricorda il cappellano di Rebibbia, sono stranieri. “In moltissimi casi – dice don Picchi – non hanno neppure i soldi per telefonare a qualche parente. Ora l’amministrazione penitenziaria ha introdotto l’uso di Skype e questo sicuramente è un passo avanti. Ma si sa che i problemi rimangono perché in carcere niente è gratis. Perfino la carta igienica si paga”.
La campagna dei Radicali
I Radicali, da anni in prima linea nelle battaglie sulle carceri e la detenzione, rilanciano il loro appello ricordando i passaggi precedenti: “Nel luglio 2011 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affermò che ‘La questione del sovraffollamento nelle carceri è un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile’. Due anni dopo, nell'ottobre 2013, il presidente Napolitano inviò un messaggio alle Camere sulla situazione carceraria, nel quale indicò le misure urgenti da adottare, tra le quali amnistia e indulto. Le rivolte di questi giorni sono la conseguenza dell'indifferenza e dell'ignavia con le quali il Parlamento accolse quell'unico messaggio che il presidente Napolitano ha inviato al Parlamento durante il suo mandato. Per non dire dell'illusione creata dalla mancata applicazione della riforma dell'ordinamento penitenziario votata dal Parlamento e sacrificata dal governo sull'altare elettorale. Oggi non c'è più tempo, è indispensabile agire subito! Forti anche del convergente appello dei cappellani penitenziari, ci appelliamo al governo perché adotti con la massima urgenza un primo provvedimento che riporti l'affollamento penitenziario nei limiti previsti dalla legge, violazione già sanzionata in passato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, e oggi nuovamente e palesemente violata”.
Il punto di vista dei magistrati di sorveglianza
Un altro appello al governo è quello del Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza, secondo i quali “di fronte alla drammatica pandemia del Coronavirus e ai rischi incombenti di una sua diffusione nel sistema penitenziario, già provato dal cronico sovraffollamento e dalle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria e flagellato dalle gravissime sommosse che hanno devastato molti istituti penitenziari italiani”, è necessario prendere misure urgenti e non rimandabili. I magistrati si dicono infatti molto preoccupati per “l’estrema precarietà delle condizioni di operatività dei tribunali e degli uffici di sorveglianza, già ordinariamente con piante organiche ridotte, ormai allo stremo delle forze, con gravissime difficoltà di garantire perfino gli affari urgenti e con fenomeni crescenti di burnout del personale addetto a tali uffici”.
Cattolici in campo
Anche le organizzazioni cattoliche sono in campo. Dalle associazioni dei volontari impegnati nelle carceri italiane crescono infatti richieste pressanti per alleggerire la tensione ed evitare la diffusione del virus. Alla vigilia del varo del secondo decreto sull’emergenza Covid-19, nella giornata di lunedì (16 marzo) le associazioni del mondo cattolico hanno chiesto al governo provvedimenti speciali per evitare il contagio in carcere. Occorre fare uscire le persone fragili e chi ha un fine pena breve, ampliando la detenzione domiciliare speciale per liberare spazi all'interno degli istituti. Lo hanno scritto alla vigilia del varo del decreto governativo varie associazioni: Associazione volontari in carcere, Caritas diocesana di Roma, I cappellani degli istituti penitenziari di Roma, Ispettore generale dei Cappellani penitenziari, Seac, Comunità di Sant’Egidio, Sesta Città rifugio, VoReCo e i Gruppi di volontariato Vincenziano.
E a Venezia le detenute raccolgono soldi per l'ospedale
Una “protesta solidale” in risposta alle violente rivolte scoppiate all'interno delle carceri italiane al seguito del diffondersi del Coronavirus. È questa l'iniziativa delle detenute della Casa di reclusione femminile della Giudecca - Venezia. Pur essendo solidale con gli altri detenuti e chiedendo comunque di poter vedere i propri cari, la stragrande maggioranza delle donne del carcere (71 su 85) si è dissociata dalle violenze, si è unita e ha dato vita a una raccolta fondi per mostrare vicinanza alle persone che stanno combattendo il Coronavirus. Le donne hanno così raccolto 110 euro in un giorno da donare al reparto di terapia Intensiva dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre. “Si tratta di una cifra simbolica, è vero, ma per alcuni anche un euro può significare tanto. E queste ragazze hanno dato tutto ciò che avevano. Quell'euro era tutto ciò che avevano”, ha detto a Tgcom24 sorella Franca, membro delle Suore di Maria Bambina, che lavora nel carcere.
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